Ancora cibo contraffatto spacciato per made in Italy. Questa volta tocca all’olio extra-vergine d’oliva e non si tratta solo di contraffazione ma di un giro davvero tortuoso nel quale hanno una componente fondamentale il contrabbando e i prodotti chimici. In un modo leggero e intuitivo, il New York Times ha svelato che intorno alla vendita dell’oro italiano, si celano loschi traffici.
Sedici diapositive, con disegni e poche ma sufficienti parole per mettere in guardia i consumatori. Il titolo dell’inchiesta é: “Extra virgin suicide” seguito dal sottotitolo: “L’adulterazione dell’olio d’oliva italiano“.
È qui che le cose si fanno interessanti. L’immagine indica che la nave ha come destinazione il porto di Napoli. La seguente slide è a sfondo nero e denuncia che bastimenti di olio di soia e altri oli più economici di quello d’oliva vengono etichettati come quest’ultimo e per contrabbando arrivano nello stesso posto del “fantomatico” olio italiano.
Ma il titolo dell’inchiesta era un altro. E ci si arriva ben presto. Viene ripercorso l’iter con il quale le bottiglie vengono etichettate come “extra vergine” e targate come “Confezionato in Italia” o “Importato dall’Italia”. Si precisa a questo punto che tutto ciò è legale: “Anche se l’olio d’oliva non proviene dall’Italia- sebbene la tracciabilità è previsto che venga segnalata nell’etichetta“. Le bottiglie partono per le più svariate zone del pianeta, anche negli Stati Uniti of course ed ecco che viene sganciata la bomba: il 69% dell’olio d’oliva importato con etichetta “extra vergine” non incontra, ai risultati dei test del gusto, gli standard previsti per l’olio extra vergine. Alla faccia del Made in Italy.
Il Times riporta che una branca dei Carabinieri per contrastare la frode in atto sta tentando di localizzare il “bad oil” ma le etichette sono facili da contraffare così come aggirare o falsificare i test costringendo le forze dell’ordine a odorare il fake oil. Inutile dire che l’immagine in questione sembra vagamente canzonatoria: Carabinieri stilizzati che sniffano bottiglie d’olio d’oliva o presunto tale.
La conclusione é la seguente: tutto questo giro di affari basato sulla frode e lo scempio di uno dei prodotti italiani più conosciuti e apprezzati dalle cucine di tutto il mondo, è un gatto che si morde la coda anzi che si mordeva la coda. Sì perché a furia di svendere il prodotto, minarne il nome e il rispetto, gli spietati produttori hanno creato un crollo dei prezzi dell’olio d’oliva. Succede del resto quando si indebolisce il prodotto e di rimando se stessi, compiendo un suicidio economico.
Dietro a tutto questo l’ennesimo scacco matto alle politiche che dovrebbero regolare e proteggere un prodotto che vende in tutto il mondo. Si insinua poi l’ombra della criminalità organizzata o di produttori dai legami molto stretti con politici influenti.
Questo è solo l’ennesimo attacco alla credibilità del made in Italy che viene continuamente defraudato, svuotato e minato nel suo significato originale e sacro. Che cosa si aspetta a richiedere anzi esigere dall’Unione Europea una regolamentazione che si occupi di tutelare il marchio e i prodotti, i produttori e i consumatori di tutto il mondo?