Ucraina, la polizia colpisce giornalisti e medici soccorritori

Il rapporto di Human Rights Watch è chiaro: sono almeno tredici i casi in cui la polizia in Ucraina ha usato violenza contro giornalisti e medici. Si legge infatti sul sito dell’organizzazione che i poliziotti hanno “Colpito con pallottole di gomma o ferito con granate per stordirli” mentre più avanti si legge di peggio: “[…] in alcuni casi la polizia ha deliberatamente preso di mira giornalisti e medici che non stavano prendendo parte alle proteste“. Secondo il gruppo di protesta non governativo, il numero dei casi aumenterebbe a sessanta e come ha affermato Anna Neistat, responsabile del programma Human Rights, non è credibile che accidentalmente vengano feriti dozzine di giornalisti e medici.

Sia i medici, i paramedici che i giornalisti intervistati da Human Rights Watch hanno confermato di indossare sempre indumenti con la croce rossa stampata e pettorine e casco con la scritta “Press” (stampa, ndr.). La denuncia riguarda le giornate comprese fra il 19 e il 22 gennaio quando i poliziotti erano armati fino ai denti per contenere le proteste a Kiev: gas lacrimogeni, proiettili di gomma e persino cannoni ad acqua. Peccato che siano stati presi letteralmente di mira anche coloro che erano lì per altri motivi.

Due le curiosità sul caso. La prima riguarda una direttiva emanata dal Ministero dell’Interno ucraino che dopo gli incidenti del 2013, obbliga i giornalisti a vestire gilè arancioni catarifrangenti proprio per far sì che non vengano colpiti accidentalmente. La seconda riguarda una nota, sempre del Ministero, apparsa sul sito stesso il 23 gennaio in cui si sostiene che la polizia ha usato un megafono ordinando ai manifestanti di disperdersi, diverse volte nel giorno del 19 gennaio, accusando i partecipanti alle proteste che le loro violente azioni erano illegali. A questo punto l’ammissione a metà: la polizia è stata costretta ad usare la forza, non ha avuto scelta.

Ecco la testimonianza di Ola Shatna, 21 anni, giornalista riguardo i fatti del 22 gennaio: “Mi sono girata per allontanarmi e in una frazione di secondo mi sono ritrovata inginocchiata sull’asfalto, dopo aver sentito un forte rumore, e ho visto il mio casco rotto per terra. Mi devono aver colpito sulla testa con un manganello, non ho nemmeno capito cosa mi fosse successo, che hanno incominciato a prendermi a calci. Mi hanno preso il cellulare minacciando di rompere la macchina fotografica. Mi hanno detto ‘Vai al diavolo, corri e vai a lagnarti all’ospedale, digli che sei stata picchiata‘. Si stavano solo divertendo, insultandomi. Sono riuscita ad alzarmi e ho iniziato a battere in ritirata, ma ancora chiedendo indietro il mio cellulare. In quel momento, quando ero a cinque o sei metri distanti da loro, uno dei poliziotti ha alzato il suo fucile e mi ha sparato contro pallottole di gomma nella schiena. I proiettili non hanno attraversato il mio giubbotto ma mi hanno colpita molto forte“.

I medici presenti sul luogo delle manifestazioni più violente hanno ribadito il particolare di indossare le giacche della Croce Rossa Ucraina o una maglietta bianca sulla quale campeggiava una croce rossa e la scritta “Medical Aid” (Pronto Soccorso, ndr) indossata sopra i vestiti invernali, viste le temperature. Alcuni di loro indossavano anche un casco bianco con una croce rossa disegnata. I medici intervistati denunciano che nel momento in cui arrivarono sul posto per prestare soccorso ai feriti avevano con sé barelle e kit per il primo soccorso. Inconfondibili dunque.

Una macchia infame che infanga un sistema già corrotto, ma che non si pensava fino a questo punto. Ecco che allora le proteste cambiano volto in un certo senso, forse qualcuno inizierà a vederle con un occhio diverso. Non si tratta solo della scelta “europeista” quella che incendia e arma le piazze e gli ucraini a Kiev, dietro c’è molto di più ed ora è stato palesemente reso pubblico, nel caso qualcuno avesse ancora dubbi.

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