Libération protesta, no al passaggio da giornale a social network

Siamo un giornale“. Con questo annuncio, due giorni fa, si apriva la prima pagina di Libération. Un titolo forte, chiaro, netto. Un messaggio rivolto dalla redazione ai lettori e soprattutto alla proprietà, che da tempo ha manifestato l’intenzione di trasformare la sede della testata in centro culturale.

Si tratterebbe di un cambiamento radicale per il quotidiano fondato nel febbraio del 1973 da Jean-Paul Sartre. La redazione lascerebbe il posto a bar, ristoranti con vista su tutta Parigi e studi televisivi, mentre il giornale diverrebbe un “social network, creatore di contenuti, redditizio di diverse piattaforme (carta, video, digitale, forum, eventi, radio)“.

Le ragioni di questa volontà di trasformazione vanno ricercate nella grave crisi che Libération sta vivendo. Le vendite nell’ultimo anno sono crollate (-15%) e la sopravvivenza al momento è garantita solo grazie ai finanziamenti statali. Il direttore, Nicolas Demorand, noto conduttore radiofonico, è stato sfiduciato dalla stragrande maggioranza dei suoi sottoposti ma la proprietà non vuole saperne di metterlo alla porta.

La situazione, insomma, è tutto tranne che rosea. Lo scorso autunno gli editori hanno presentato un piano editoriale che prevede un nuovo paywall per accedere al sito e tagli per circa 4 milioni di euro. La redazione non lo ha mai digerito e ora è in rivolta. In un lungo articolo pubblicato nel numero di due giorni fa punta il dito proprio contro la consistente compressione delle spese, che non permetterebbe di valorizzare adeguatamente il giornalismo, soprattutto quello d’inchiesta.

La proprietà ha affidato al manager François Moulias il compito di condurre le trattative. Il rappresentante degli azionisti di Libération ha dichiarato di voler dar vita a un “Flore del ventunesimo secolo“, successore del famoso Café frequentato in passato da nomi di prestigio come Simone de Beauvoir. L’idea non piace neanche un po’ alla redazione, che la considera alla stregua di un “colpo di stato“, un tentativo di svilire la storia della testata e il suo significato. E così, dopo lo sciopero di venerdì scorso, ora i giornalisti hanno deciso di coinvolgere nel dibattito sul futuro del giornale i propri lettori, ricevendo numerosi messaggi di solidarietà, ma anche qualche critica.

In una fase così difficile per il mondo dell’editoria, rinunciare alla propria naturale identità per assumerne una nuova a volte può diventare l’unica strada da percorrere per garantire la propria sopravvivenza.

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