Quel muro che forse dividerà l’Ucraina

Il 16 marzo in Crimea si voterà. La domanda a cui i cittadini ucraini saranno chiamati a rispondere è sostanzialmente: “Volete rimanere ucraini o rientrare nella Federazione russa?”.

Il parlamento locale, filorusso, si è già espresso a favore, in merito alla secessione da Kiev, quindi, dopo la fatidica votazione di domenica, l’Ucraina potrebbe trovarsi divisa in due da un muro.
Un muro ideale, probabilmente. Nulla a che fare con quello di Israele, costruito lungo il confine con la Cisgiordania, o con quello che divide le due Coree, quella del nord da quella del sud.

Anche questi muri sono figli del più famoso muro di Berlino, abbattuto nel 1989, ma di cui si è cercato di preservare l’ultimo tratto, a memoria delle divisioni che non sarebbero più dovute sorgere. Eppure proprio alle porte dell’Europa, proprio vicino a quel muro che doveva restare come monito, sta per sorgerne un altro, che con grande probabilità spezzerà in due l’Ucraina.

La storia ucraina è la storia di una nazione di confine. Un confine tra due continenti e soprattutto tra due poteri ben distinti e storicamente opposti, sempre in bilico diplomatico per interessi economici, strategici e soprattutto energetici. Da un lato l’occidente americano ed europeo, dall’altro l’oriente russo.

Proprio qui, nel mezzo tra est ed ovest, si innesta la storia dell’Ucraina, che anche chiamare nazione, secondo le definizioni tradizionali, risulta difficile e problematico. Quando si studia geografia a scuola c’è una distinzione che in genere si fa subito, ma che è tanto astratta e concettuale che non si riesce subito a coglierla. Quella tra stato e nazione, concetti che a volte si sovrappongono e a volte sono estremamente lontani. C’è la nazione come sinonimo di popolo, cioè una «collettività etnica di individui coscienti di essere legati da una comune tradizione storica, linguistica, culturale e religiosa». E poi c’è la nazione intesa come «comunità di individui di una o più nazionalità con un suo proprio territorio e governo».
La realtà dei fatti, non può che verificare quanto fragili, precari, instabili siano queste nozioni e perciò altre teorizzazioni cercano di offrire definizioni alternative, come quella che vede la nazione come «un libero contratto sociale tra popoli che si riconoscono in una Costituzione comune».

Ma che c’entra tutto questo con l’Ucraina? Per capire cosa c’è alla base della disgregazione ucraina di oggi, è necessario andare un po’ più indietro rispetto alla Rivoluzione arancione del 2004, da tanti menzionata come punto di partenza della crisi. In realtà la storia è prospettica e dunque va guardata a distanza se si vuole cercare di vederne i contorni.

L’Ucraina come la vediamo oggi ha una storia recentissima. La Crimea infatti vi fu annessa solo nel 1954, appena sessant’anni fa per intendersi, quando il leader sovietico Nikita Krusciov trasferì la provincia di Crimea alla «repubblica sovietica» dell’Ucraina, togliendola alla Russia. Il gesto era solo simbolico, perché il territorio restava comunque nell’Urss, ma quando nel 1991 ci fu il crollo dell’Unione Sovietica, la Crimea divenne definitivamente parte dell’Ucraina. Molti accordi tra Russia e Ucraina però rimasero, soprattutto in virtù del fatto che la Crimea era strategica per il passaggio dei gasdotti che dalla Russia portano il gas in Europa. Oltre al fatto che un accordo tra Kiev e Mosca consente alla Russia di mantenere in Crimea le sue basi, in cambio della fornitura russa di gas a un prezzo scontato.
Ma basta guardare ai risultati delle elezioni parlamentari del 2012 per rendersi conto di quanto la divisione si sia accentuata tra le due parti del Paese, con una maggioranza di voti per il partito di Yanukovich nel sud-est, e una netta predominanza della Tymoshenko nel nord-ovest.
Senza considerare che in Crimea la maggior parte della popolazione parla russo.

E fin qui, insomma, la Russia sembrerebbe quasi legittimata ad intervenire su un territorio sul quale ha degli interessi da proteggere, con l’appoggio peraltro di un buona maggioranza della popolazione.
Una maggioranza appunto. Non la totalità. Perché in Crimea c’è anche chi si sente ucraino a tutti gli effetti, e vi è poi una minoranza tartara di religione musulmana, che ha chiaramente forte timore per le sorti della regione. Non ci vuole troppo per ricordarsi della Cecenia.
E quindi tra dichiarazioni di illegittimità reciproche che volano di qua e di là dal confine, da Putin al nuovo governo di Kiev, da Kiev al referendum in Crimea e da Obama e Merkel verso Putin, chi è alla fine davvero legittimato a decidere del destino di questo Paese?

La sovranità popolare si direbbe. La stessa che in modo anche discusso, a causa della partecipazione di minoranze ultranazionaliste, ha portato alla protesta di Piazza Maidan e al rovesciamento del governo di Yanukovich, ritenuto un burattino nelle mani di un governo straniero, quello russo appunto.
Ma allora bisognerebbe anche pensare che il referendum dovrebbe considerarsi legittimo, perché comunque espressione di una volontà popolare, nonostante i soldati per le strade e nonostante l’invasione russa, definita da alcuni giornali come “no-shooting war”, cioè una guerra in cui non si spara. Ma se non si spara, secondo molti osservatori internazionali, lo si deve solo alle raccomandazioni del governo di Kiev, che ha ordinato di non rispondere alle provocazioni dei soldati russi. Lo hanno insegnato decenni di storie di contrasti etnici e religiosi e di muri, come nella famosa Bloody Sunday di Belfast: «non è l’offesa, ma è la reazione a scatenare la guerra».

Come andrà la storia si potrà sapere solo aspettando il lavoro delle diplomazie internazionali, oltre che il risultato del referendum, che in ogni caso non potrà essere ignorato. Ma una riflessione è richiesta, su questo nuovo muro e sulle nuove divisioni, che non interessano solo l’Ucraina o la Russia, ma anche e anzi forse soprattutto l’Europa.

Dopo le parole di Grillo e l’apertura “fraterna” della Lega Nord ad una situazione pre-unitaria, cosa pensereste se domani ci svegliassimo e un muro dividesse il nord dal sud dell’Italia?

[Credits foto: Internazionale.it / Corriere.it]

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