Rivivendo Baggio, il manager racconta il Divin Codino a Bloglive

Certi campioni non li fanno più. Sembrano fuori mercato, fuori esistenza. Almeno in Italia: un Paese storicamente glorioso, con quattro titoli mondiali alle spalle ed un ricambio generazionale, l’ultimo, che sembra non aver dato i frutti sperati. Ci sono pochi talenti, pochi professionisti come quel numero dieci che oggi vi raccontiamo grazie al suo manager, Vittorio Petrone, intervenuto ai microfoni di bloglive: Roberto Baggio, il Divin Codino. L’uomo delle perle confezionate con Juventus, Milan e Inter. L’uomo del delirio viola e del Brescia di Carletto Mazzone. Del Bologna di Cesare Cremonini che ha dipinto perfettamente il nuovo calcio senza Baggio in Marmellata #25. L’uomo della Nazionale, del maledetto rigore sbagliato in America contro il Brasile, ma dei tanti gol in maglia azzurra. L’uomo che dopo ogni caduta, sapeva come rialzarsi grazie alla forza di volontà e un talento nettamente fuori dal comune.

Ci racconta il vostro primo incontro?
“Risale all’ottobre del 1983, mi pare. Sono più di vent’anni che siamo insieme dal punto di vista professionale, ma siamo stati ovviamente capaci di costruire una grande amicizia. C’è tantissimo rispetto. Io ho imparato tantissimo da lui e lui dichiara di aver imparato, a sua volta, tanto da me: uno scambio bellissimo fatto di valori forti. Il nostro legame, anche se non gioca più da dieci anni, va avanti. Sono fortunato ad aver incontrato sulla mia strada un uomo come Roberto Baggio”

Chi è Roberto Baggio fuori dal campo?
“Un uomo che ha la capacità di guardare sempre al domani, mai a quanto fatto oggi. Ha l’umiltà di guardare sempre il prossimo obiettivo, vuole continuamente far meglio. Ha un dono rarissimo oramai, e non l’ho trovato in molte persone: l’umiltà. L’uomo più umile che io conosca. Parla poco, è di una sintesi estrema ma traspare tantissima saggezza da tutto ciò che dice”

La prima volta che ha visto giocare Baggio avrebbe mai immaginato una carriera simile?
“Devo essere onesto, no. Lo vidi giocare la prima volta a San Siro, io andai a vedere il Milan e vidi questo ragazzo che rientrava dall’infortunio, segnò due gol e mise a sedere una leggenda come Baresi. Impressionante, tutti ci chiedevamo: ma chi è? Aveva accelerazioni mostruose, rapidissimo. Poi sono diventato il suo manager, ho visto come lavorava e capito perché era così bravo. Cura i dettagli, è un professionista esemplare”

Ha giocato nelle tre grandi del calcio italiano: il suo talento le ha in un certo senso unificate?
“È trasversale. Chi l’ha incontrato non ha fatto a meno di amarlo, il suo essere e il suo modo di stare in campo lanciava messaggi che andavano aldilà della casacca che indossava”

Cremonini canta: “Da quando Baggio non gioca più, non è più domenica”. È cambiato davvero tanto questo nuovo calcio.
“Cremonini lo adoriamo, è un artista fantastico e straordinario. E non solo per quella canzone. Una cosa posso dirla: sono un professionista del settore, ne ho visti tanti di giocatori. Ma anche per me da quando Baggio non gioca più, non è più domenica”

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