Asta BTp, rendimenti in salita. Allarme BCE su debito e crescita

Dopo l’asta dei BoT di ieri, oggi il Tesoro è dovuto tornare sul mercato per finanziarsi tramite l’emissione di titoli a più lunga scadenza. In particolare, sono stati emessi BTp a tre anni, con scadenza marzo 2015, per un importo di 2,884 miliardi, leggermente inferiore all’ammontare massimo previsto e annunciato di 3 miliardi. Il rendimento è stato del 3,89%, in netto rialzo dal 2,76% di solo un mese fa. Prima dell’asta, si era diffusa voce, poi rivelatasi fortunatamente falsa, che il Tesoro stesse per tagliare gli importi da collocare, per via di mancanza di domanda.

Successivamente, sono stati emessi anche titoli BTp con scadenza novembre 2015, febbraio 2020 e agosto 2023. I primi sono stati piazzati per un controvalore di 395 milioni e al rendimento del 3,92%. I secondi sono stati collocati per 687 milioni e hanno esitato un tasso del 5,04%, mentre gli ultimi sono stati offerti per 918 milioni e il loro rendimento è stato del 5,57%.

Si è trattato della prima asta dall’ottobre del 2011, in cui venivano offerto titoli con scadenza superiore ai 10 anni. Tutto sommato, quindi, gli analisti non hanno commentato negativamente il risultato complessivo del collocamento di oggi, ma di certo la lettura che emerge è piuttosto amara. L’Italia ha bruciato oltre due mesi di recupero e conseguente calo dei rendimenti all’asta e sul secondario in un paio sole di aste. Il raffronto con il mese di marzo è sconfortante. In meno di un mese, il costo di rifinanziamento del debito a carico dello stato è salito dal 3,02% al 4,37%. Pare che oggi siano state presenti soprattutto gli investitori istituzionali italiani, mentre le richieste dall’estero erano scarse. Non è difficile immaginare che a queste condizioni, il Tesoro continui a concentrarsi sulle emissioni di più breve scadenza, come già aveva fatto nei primi tre mesi. Tuttavia, questo trend esporrà l’Italia a una maggiore vulnerabilità, in relazione alla variazione dei tassi.

La reazione delle borse è stata negativa, mentre stavolta anche lo spread decennale tra i BTp italiani e i Bund tedeschi non ne ha risentito in positivo, allargandosi di circa 5 punti base, subito dopo la comunicazione dei risultati del collocamento. Il differenziale di rendimento è salito, infatti, da 361 a 366 bp.

Proprio oggi, poi, il bollettino mensile della BCE lancia l’allarme sulla questione del debito, la cui crisi sui mercati potrebbe innescare meccanismi negativi sulla crescita, a causa delle ripercussioni sull’economia reale. In particolare, si evidenzia come Italia, Spagna, Francia, Grecia, Portogallo, Belgio, Cipro e Olanda debbano rifinanziarsi quest’anno per oltre il 20% del loro pil, con chiare problematiche relative a un’esposizione eccessiva ai rendimenti mutevoli.

Nel bollettino, la BCE prevede una ripresa dell’Eurozona nel corso dell’anno, ma il tasso di disoccupazione è previsto in peggioramento. Per questo, gli stati membri vengono invitati ad attuare le riforme che accelerino e migliorino gli equilibri sui mercati dei beni, dei servizi e del lavoro, con misure che comportino una maggiore flessibilità salariale e dei prezzi, indispensabile per rilanciare la competitività, la produttività e la crescita delle economie.

Al contempo, il documento sottolinea come il tasso medio di debito sul pil sia ben al di sopra del 60%, pertanto, gli stati dovrebbero impegnarsi a mantenere per un periodo anche molto lungo un avanzo primario di oltre il 4% del pil. Su questo punto, la situazione è diversa da economia a economia.

Francoforte richiama i Paesi dell’Eurozona a tenere fede agli impegni assunti in sede dell’Eurogruppo dell’8-9 dicembre del 2011, poi firmati il 2 marzo e noti come accordo sul cosiddetto “Fiscal compact”, che prevedono una maggiore disciplina fiscale.

Dall’analisi del mese di marzo emerge che nella seconda parte si è registrato un ritorno all’aumento dello spread per Italia e Spagna in modo particolare, ma in misura inferiore anche per i Paesi Bassi. Questa situazione, si legge, sarebbe dovuta alle tensioni sui mercati finanziari dell’Eurozona, che temono prospettive insufficienti di crescita.

Insomma, con l’asta di oggi si chiude una settimana nera per le aste del Tesoro italiano, che hanno determinato la fine dell’euforia che pure circolava nelle scorse settimane, dato il calo sostenuto dei rendimenti sia sul secondario che sul primario. L’unica nota positiva resta la domanda sempre sufficiente, come dimostra anche il fatto che i rendimenti triennali di oggi siano stati anche inferiori a quelli che poco prima si registravano sul secondario per la medesima scadenza.

Resta il fatto, tuttavia, che l’Italia sembra essere piombata tra gennaio e febbraio, ossia distante dai massimi raggiunti a novembre e dicembre, ma con rendimenti ancora inusitatamente alti, quando già a marzo avevamo un pò tutti tirato un sospiro di sollievo e parlato di normalizzazione dei tassi sulle scadenze medio-brevi.

Se il trend dovesse essere questo, c’è il rischio che si avveri la profezia del Financial Times, ossia che il governo debba ricorrere a una manovra aggiuntiva per l’aggiustamento dei conti pubblici. Il percorso per il Tesoro è ancora lungo e ad ostacoli, visto che in tutto il 2012 sono 450 i miliardi da rifinanziare. Entro il mese di aprile dovremmo arrivare a un totale di quasi 160 miliardi.

 

 

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