Scade oggi la raccolta firme per l’iniziativa antiabortista europea

Fra le diciassette iniziative di democrazia partecipativa dei cittadini europei che hanno passato la soglia minima della raccolta firme, oggi scade “Uno di Noi”, destinato a rivedere le leggi sull’aborto e la definizione dell’embrione umano.

Con il Trattato di Lisbona, infatti, l’Unione Europea ha creato Ice (Iniziativa dei cittadini europei). Strumento che permette a tutti i cittadini europei di raccogliere firme in modo da “suggerire” ai rappresentati a Bruxelles di quali sono i temi su cui legiferare e di cui occuparsi, anche con una certa urgenza. È necessario che vengano raccolte almeno un milione di firme in minimo sette Stati in meno di un anno per presentare le proprie proposte. Creando un comitato organizzatore e, naturalmente, proponendo che vengano esaminati temi di competenza dell’Unione.

Tra i primi ad aver approfittato di questo strumento c’è il Movimento per la vita con l’iniziativa antiabortista “Uno di noi”, con la quale chiede all’Europa di vietare e porre fine al finanziamento di attività che presuppongono la distruzione di embrioni umani in particolare in tema di ricerca, aiuto allo sviluppo e sanità pubblica nonché la sospensione immediata dei finanziamenti della stessa Unione europea ai consultori, ai corsi di educazione sessuale e a tutte le ong che abbiano tra i proprio fini quello di tutelare la salute soprattutto delle donne e diritti riproduttivi.

Dalla data ultima utile a raccogliere le firme, in questo caso oggi, gli Stati membri hanno tre mesi per autenticare le firme, poi ci sarà un’audizione pubblica sull’iniziativa al Parlamento europeo. Infine, verso marzo, la Commissione dovrà annunciare se intende o meno dare seguito alla proposta.

Questo fa prevedere che il Parlamento europeo sarà teatro, nei prossimi mesi, di vivaci dibattiti tra eurodeputati cattolici, guidati da Carlo Casini (Udc), presidente del Movimento per la vita, e i laici che cercheranno di ricordare che i diritti sono stati conquistati ma non vanno per questo dati per scontato. E sarà una dura e agguerrita battaglia….

Anche in Italia si è tornato a parlare della legge 194, approvata nel 1978 e attualmente largamente disattesa. Con un vertiginoso aumento di casi di aborto clandestino con gravi pericoli per le donne. Secondo i dati ufficiali del Ministero della salute, i casi di aborto sarebbero in diminuzione mentre aumentano sempre di più i medici obiettori di coscienza che rifiutano di praticare l’interruzione volontaria di gravidanza. Tanto da costringere molte donne, in diverse zone d’Italia a dover percorrere molti chilometri per poter trovare una struttura pubblica in cui ci sia qualcuno disposto a far si che un loro diritto sia garantito. E chi può, va all’estero.

Stando sempre ai dati ministeriali, quindi ufficiali, oggi si verificano di centoquindicimila interruzioni volontarie, e nel 75% dei casi si tratta di donne straniere. Questo vuol dire che armi davvero efficaci nella prevenzione dell’aborto sono l’informazione e la contraccezione.

La legge 194, che tutela il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza, è una delle maggiori conquiste fatte dalle donne negli anni settanta, ma è anche una delle leggi più attaccate e controverse. Che vede schierati da una parte gli integralisti cattolici per cui un embrione è da considerarsi essere umano dal primo momento e a cui vanno garantiti tutti i diritti, a cominciare da quello alla “vita” (e il diritto della donna incita alla vita, quando la gravidanza rappresenta un pericolo reale per la sua salute?), dall’altra chi pensa che le donne, essendo la gravidanza un evento che riguarda soprattutto il corpo delle donne, abbiano il diritto di autodeterminarsi e decidere sempre della propria vita e del proprio corpo.

Legalizzare l’aborto non vuol dire imporre questa decisione a nessuno, vuol dire solamente lasciare libere le persone di autodeterminarsi. Praticare l’aborto non è mai una scelta facile e banale. Per molte, se non tutte, è un vero e proprio dramma. E chi vorrebbe vietare la possibilità di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza non solo tenta di imporre le proprie idee a terzi, ma non considera nemmeno i rischi che corrono le donne correrebbero nel caso in cui l’aborto venisse praticato illegalmente in strutture non idonee e da gente incompetente. Pagando prezzi altissimi per una scelta già di per se difficile.

La maternità non è né una necessità né un obbligo. È, o dovrebbe essere una scelta consapevole perché essere madri non è solo partorire. E anche se fosse “solo” portare avanti una gravidanza, ci sono casi in cui il corpo di una donna non è in grado di sostenere le trasformazioni organiche e fisiologiche che una gravidanza comporta.
Essere madri richiede soprattutto la capacità di riconoscere che quello che cresce nella propria pancia, non è una nostra estensione, ma un altro individuo che ha il diritto e la necessità di essere riconosciuto come “altro”, “diverso” rispetto a noi. “La procreazione è un atto relazionale, un processo lungo e complesso che implica l’esistenza di un dialogo, seppur silenzioso, tra il futuro bambino e la madre all’interno del corpo materno. Se il riconoscimento non avviene, questo dialogo silenzioso non comincia, ed è difficile pensare che un dialogo mai nato possa instaurarsi in seguito.”, scrive Michela Marzano in un libro dal titolo “Sii bella e stai zitta”. E chi, per vari motivi, sa che non potrebbe o non saprebbe garantire ad una vita condizioni di sviluppo “sufficientemente buone”, parafrasando il pedopsichiatra Winnicott che parla di “madre sufficientemente buona” intendendo con madre chiunque si occupi di una nuova vita cercando di fare del proprio meglio per garantire ai nuovi arrivati condizioni di crescita e sviluppo adeguate, deve avere la possibilità di decidere di interrompere una gravidanza.

Ancora una volta, si decide sulla pelle delle donne senza che queste vengano ascoltate. Calpestando i loro diritti e cercando di cancellare la possibilità di autodeterminarsi e decidere per se stesse della propria vita.

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