Paradosso all’italiana: insegnante entra in ruolo dopo essere morta

Assunta quando era già morta. Sabrina, un’insegnante di Roma, ha ottenuto l’immissione in ruolo 14 anni dopo aver vinto il concorso. Un’assunzione a tempo indeterminato otto anni dopo essere morta.

Ha del grottesco la vicenda di questa maestra che aveva vinto un concorso nel 1999 e per anni aveva atteso l’immissione in ruolo. Nel 2005 purtroppo, a causa di una malattia cardiaca, la giovane insegnante muore e la dichiarazione di decesso fatta dai familiari si perde tra i faldoni della burocrazia italiana. Così, quest’anno, arriva la comunicazione, che in situazioni normali sarebbe stato un momento di enorme gioia, soprattutto in un periodo in cui il lavoro è un privilegio di pochi e i numeri sulla disoccupazione crescono sempre di più.

Ma Sabrina ormai non c’è più e quindi la lettera raccomandata che è giunta alla sua famiglia è una sorta di beffa per i fratelli, entrambi disoccupati, che la ricevono. La maestra romana era in attesa di passare in graduatoria e stabilizzarsi dopo aver vinto il concorso ben quattordici anni fa. Aveva perciò cominciato il normale iter che tutti gli insegnanti devono seguire per entrare di ruolo: nel 1995, a 23 anni, le prime supplenze nelle scuole primarie. Poi però, nel 2003, la decisione di smettere di lavorare era stata quasi obbligata, dato che la malattia non le avrebbe permesso di lavorare. Ma le convocazioni dalle scuole non erano cessate fino al 2005, quando la famiglia ne aveva, appunto, comunicato il decesso. La raccomandata da parte del Ministero e dell’Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio arriva nel 2013, accompagnata dall’amara consapevolezza che, se fosse stata viva, Sabrina oggi non sarebbe stata più una precaria.

Per quanto assurdo, questo non è un caso isolato, l’eccezione in un sistema collaudato e funzionante. No, questa è la norma di un sistema che, nonostante abbia ancora da smaltire graduatorie interminabili di docenti da immettere in ruolo, indice nuovi concorsi, indirizzati, peraltro, a chi è già abilitato all’insegnamento e quindi, in pratica, in una graduatoria, quella ad esaurimento, c’è già. Questa storia è la norma di un sistema che ha riformato l’università per permettere l’ingresso diretto nel mondo del lavoro, ma poi prevede ancora un concorso per l’accesso al TFA, ossia un ulteriore anno di tirocinio formativo attivo, per poter partecipare ad un altro concorso che permetta l’immissione in ruolo.

Quello dei futuri insegnanti italiani, insomma, sembra più un percorso ad ostacoli che la carriera di un rispettabile professore. E in effetti sono tanti quelli che rinunciano lungo la strada. Basti pensare a quante “vittime” ha mietuto l’ultimo concorso a cattedre, fortemente voluto dall’allora ministro dell’Istruzione Profumo, che non è stato esattamente un esempio trasparenza. Numerosi sono stati i ricorsi, i dubbi, le critiche e il Tar ha abilitato al test prima e agli scritti poi, qualcosa come oltre 7mila candidati, sovvertendo di fatto gli esiti delle prove.

Ora il decreto Scuola, approvato la scorsa settimana dalla Camera, prevede un piano triennale, dal 2014 al 2016, con l’assunzione di 26 mila insegnanti di sostegno e l’immissione in ruolo di 69 mila docenti e 16 mila Ata.

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