Russia, approvata amnistia per Pussy Riot e attivisti di Greenpeace

È stato approvato ieri, in terza lettura, il provvedimento di amnistia che il presidente Vladimir Putin ha avanzato per celebrare i 20 anni della Costituzione Russa. Con 446 deputati a favore, è ormai quasi certa la liberazione di migliaia di detenuti (si parla di 25.000), tra cui spiccano anche nomi di personaggi che, loro malgrado, sono venuti alla ribalta negli ultimi tempi.

È il caso delle due cantanti del gruppo punk Pussy Riot, condannate per aver cantato inni “blasfemi” contro Putin nella cattedrale del Cristo Redentore di Mosca; o degli attivisti della Artic 30, la rompighiaccio di Greenpeace assaltata da un blitz di militari durante una protesta contro le trivellazioni petrolifere della compagnia Gazprom. I 30 attivisti, tra cui anche l’italiano Cristian D’Alessandroper il momento libero su cauzione-, furono arrestati a novembre con le accuse di pirateria e vandalismo.

Stando a quanto afferma Irina Khrunova, l’avvocato delle due cantanti, Nadezhda Tolokonnikova e Maria Alyokhina potrebbero essere libere già nella giornata di oggi. Dello stesso avviso è Pyotr Verzilov, il marito della Tolokonnikova, che con un tweet ha annunciato le buone probabilità di un’immediata scarcerazione. La vicenda delle Pussy Riot, arrestate nell’estate del 2012, recentemente era tornata in prima pagina sui giornali quando la Tolokonnikova fu trasferita in Mordovia, regione tristemente conosciuta per i suoi gulag; successivamente la ragazza aveva pubblicato una lunga lettera in cui denunciava le fatiche dei lavori forzati e delle punizioni che le venivano inflitte, fino a rendere necessario un ulteriore trasferimento a Krasnoyarsk, in Siberia, dove la situazione ha cominciato a migliorare. Alyokhina, al contrario, ha trascorso tutta la durata della detenzione nella città di Nizhny Novgorod.

Per quanto riguarda gli attivisti di Greenpeace, l’emozione è frenata da tanta amarezza. Secondo D’alessandro, la Russia sta “cercando prove che non troverà mai perché, secondo i nostri principi di pacifismo e non violenza, non c’è niente che possa essere ricondotto ad accuse di vandalismo o pirateria“. E ancora,”È strano essere stati perdonati per un crimine che non abbiamo commesso, e continuo a pensare ai miei amici russi. Ho sempre immaginato che saremmo stati insieme in questo momento e che ci avrebbero lasciato andare tutti nelle stesse circostanze. Siamo stati un gruppo per tutto questo tempo e pensavo che avremmo condiviso questo momento. Invece l’amnistia non è intesa allo stesso modo per tutti“, twitta Alexandra Harris, addetta alle comunicazioni di Greenpeace. Inoltre, non è sicuro fino a che punto gli attivisti potranno lasciare la Russia: “Allo stato attuale – si legge sul sito di Greenpeace – non hanno i visti necessari sui loro passaporti, essendo stati portati in Russia dai commandos dopo il loro arresto illegale“.

L’amnistia dovrebbe riguardare non solo questi casi emblematici, ma anche decine di migliaia di altri detenuti. Prima che fosse approvata sono stati discussi almeno cinquanta emendamenti: per avere effetto, dunque, si potrebbe dover aspettare anche fino a sei mesi. Oltre a Pussy Riot e attivisti Greenpeace, ne beneficerà chi è ancora in attesa di giudizio (escamotage con cui la questione diplomatica degli attivisti, provenienti da ogni parte del mondo, può essere agevolmente risolta), i condannati a meno di cinque anni di reclusione, le madri di figli minori e chi è accusato di teppismo, proprio l’accusa pendente su Cristian D’Alessandro e gli altri di Greenpeace.

Resteranno ancora in carcere gli oppositori politici. Forse se la caverà chi è stato coinvolto nei disordini del 6 maggio 2012, durante una manifestazione anti-Putin in piazza Bolotnaya a Mosca; di certo però non la scamperanno gli organizzatori, rei per di più di aver risposto con la forza all’intervento della polizia.
Niente da fare neanche per Yukos Mikhail Khodorkovski, l’uomo più ricco della Russia intera, incarcerato nel 2003 con l’accusa di furto e riciclaggio. Né per Alexei Navalny, blogger dell’opposizione condannato a cinque anni.

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