Fondo salva-stati, pressing sui tedeschi

E’ ancora una volta la Germania il Paese perno su cui ruota la vicenda del salvataggio delle economie periferiche europee; la più grande locomotiva europea, infatti, non rinuncia alla sua storica austerità e rigore nei bilanci e mal digerisce che i Paesi-cicala debbano essere salvati con i quattrini altrui. Da un lato il cuore dice ai tedeschi di lasciar cuocere nel proprio brodo chi ha sbagliato, ma la testa li induce a prendere atto che un eventuale default avrebbe conseguenze catastrofiche sull’euro, quindi, sulla Germania stessa.

L’ultima diatriba si gioca sul cosiddetto “fondo salva-stati”, cioè il fondo europeo di intervento in favore dei Paesi dell’area euro in difficoltà, e che prevede impegni complessivi dei governi nazionali dell’area per circa 750 miliardi di euro.

Messo in atto dopo il salvataggio della Grecia, il fondo è stato considerato insufficiente, dopo che si è dovuti salvare l’Irlanda e che si presagisce un ulteriore intervento verso il Portogallo. Secondo la BCE, ma anche analisti e qualche governo, la scarsa congruità del fondo sarebbe all’origine del nervosismo sui mercati, diffidenti sulla possibilità di salvare relamente i Paesi in difficoltà.

La Germania la pensa, forse giustamente, in modo opposto; fatto stà, che le prossime elezioni regionali, che saranno un test per il Cancelliere Angela Merkel e per la sua coalizione CDU-CSU-FDP, non consentono alla first lady tedesca di sbilanciarsi più di tanto, in quanto rischierebbe di essere punita alle urne dai tedeschi, già fin troppo imbufaliti dal dovere sganciare denaro per gli stati spreconi.

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