Cuba, dissidenti non credono alle aperture di Fidel

A Cuba nulla cambierà, fin tanto che il potere rimarrà nelle mani dei golpisti funzionari comunisti, al governo del Paese dal 1959, quando hanno cacciato Batista; parola dei dissidenti cubani, costretti a lasciare il loro Paese per riparare, per lo più, negli USA, dato che il regime comunista di Fidel Castro non ammette dissenso e opinioni contrarie alla sua. Oswaldo Payà, a capo del Movimento Cristiano di Liberazione, si dimostra alquanto scettico sulle riforme tanto sventolate dai fratelli Castro al sesto congresso del partito comunista e aggiunge che i dirigenti comunisti parlano di crisi e di necessità di riforme, come se negli ultimi cinquanta anni abbiano governato altri e non loro. Poi, afferma, è incredibile che qualcuno possa parlare di svolta, solo perchè potrebbe essere consentita sull’isola la compra-vendita di case; è come se si cambiasse opinione sul regime di Pinochet, perchè il dittatore cileno avesse acconsentito alla vendita di case.

E che tra i dissidenti non ci sia entusiasmo, nè speranza per un cambiamento possibile a Cuba sotto i Castro, lo conferma anche la blogger Yoanu Sanchez, la quale si interroga su come sia avvilente che il gruppo dirigente comunista non riesca a trovare un giovane, in grado di guidare il partito e le istituzioni, mentre si affanna a cambiare un ultra-ottantenne con un altro ottantenne.

Quanto, poi, alla misura voluta da Fidel, di un massimo di due mandati per incarico, anzichè essere vista come una scelta di cambiamento, all’estero molti commentano che si tratti di un espediente dei fratelli Castro, Fidel e Raoul, per darsi altri dieci anni di potere, giunti ormai a un’età molto avanzata. L’età media, infatti, dei dirigenti del partito si aggira sui 70 anni, essendo quasi tutti reduci dall’esperienza della revolucion del 1959. Il limite del doppio incarico, quindi, non sarebbe altro che un palliativo per la popolazione, perchè comunque tra dieci anni molti di loro saranno passati a miglior vita o non sarebbero più in grado di reggere il partito e le istituzioni.

Ciò che colpisce dai commenti dei dissidenti è l’amara constatazione che nulla cambierà a L’Avana, sotto la famiglia dei Castro, soprattutto, in tema di diritti umani. E l’aver rinunciato a incarichi pubblici e di partito non significa per niente che Fidel non interverrà in prima persona, per gestire il potere fino all’ultimo suo respiro.

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