Confindustria, imprese italiane tra le più tartassate

Ancora la questione fiscale è quella che agita il dibattito sull’economia e la politica del nostro Paese. Nonostante la più assoluta necessità di reperire il maggior quantitativo di risorse, al fine di ridurre il deficit pubblico, tutti i dati (comprese le note di minaccia di declassamento da parte delle agenzie di rating) indicano che la vera questione italiana sia la crescita. In poche parole, l’Italia ha sì un altissimo debito pubblico, ma il deficit è contenuto e già si trova sulla strada che tende al pareggio di bilancio del 2014. E, tuttavia, è proprio la bassissima crescita italiana, che rischia di non rendere possibile il risanamento dall’alto livello del debito accumulato. 

Preso atto che il problema sia la crescita, tutti convergono nell’individuare uno dei più grandi responsabili del suo freno: le tasse. L’imposizione fiscale in Italia è a livelli spaventosamente alti e impedisce di attirare investimenti, ricchezza e di creare lavoro. Dunque, è il fisco la grande questione nazionale, che ormai si trascina da troppi anni ed è stata alla base della bocciatura del centro-destra alle ultime amministrative.

Gli ultimi dati di Confindustria parlano chiaro e indicano la voracità di uno stato, che assorbe ben il 58% dell’imponibile di un’impresa, con un utile dichiarato di 380 mila euro, che avrebbe però realizzato prima di pagare le imposte al fisco 600 mila euro. Il doppio, rispetto alla Spagna, dove solo il 29% dell’imponibile va in tasse mediamente, sopra anche la Germania e il Regno Unito, con un carico rispettivo del 43% e del 40%.

Sopra di noi solo la Francia, con il 60% di imposte sull’imponibile delle imprese. E’ evidente che così non si può andare avanti.

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