Cina, governo cede a protesta contro fabbrica chimica

Succede anche in Cina che i nuovi media, ossia i social network, riescano ad essere determinanti per influenzare l’opinione pubblica, anzi, in uno stato dittatoriale come questo, a formarla. E non è certo un fatto consueto che la politica cinese ascolti le richieste delle popolazioni locali, chiusa in apparati atrofizzati, che necessiterebbero almeno uno svecchiamento. Ma questa volta è stato diverso e anche qui la protesta ha corso su internet, per essere più precisi, sulla versione cinese di Twitter, ossia Weibo, uno dei social network più popolari del colosso asiatico. Siamo a Dalian, nel nord-est della Cina, una città costiera. Domenica scorsa, alcune decine di migliaia di cittadini della “middle class”, pare 70 mila, ma secondo le autorità 12 mila, si sono date appuntamento tramite la rete davanti alla sede governativa locale della città per protestare contro il presunto inquinamento letale di una fabbrica chimica, produttrice di paraxilena, la Fujia Px, che pare esterni sostanze nocive, dopo un recente maltempo che avrebbe compromesso la tenuta di una diga di depurazione.

Le autorità locali avevano rassicurato la popolazione che non ci sarebbe alcun pericolo per la salute dell’uomo, ma la scarsa credibilità di cui gode la politica cinese ha portato lo stesso alla mobilitazione.

In particolare, gli animi si sono esacerbati dopo che si è appresa la notizia che alcuni giornalisti che indagavano sulla fabbrica sarebbero stati picchiati dal servizio d’ordine della Fujia. Troppo, per la classe media di Dalian, che ha fatto sentire pressante la sua voce. E così, domenica, tutti in piazza, a gridare slogan contro il governo della città, tutti vestiti all’occidentale, con macchine digitale al collo e telefonini, che davano un altro volto della Cina moderna. La protesta è arrivata al cuore della politica, tanto che la nazionale Cctv 4 ne ha dato notizia sommariamente, annunciando che in meno di due settimane la fabbrica sarà chiusa.

Vittoria per i cittadini, sconfitta per le autorità locali. Ma nessuno osa (ancora) mettere in discussione Pechino. Chi sbaglia, eventualmente, è solo qualche dirigente locale del partito. Ma questa storia, che potrebbe essere una delle tante che accadono in ogni angolo del pianeta, Italia compresa, in realtà è la spia della crescita di consapevolezza e di importanza del ceto medio cinese che aspira a divenire, se non proprio classe dirigente, almeno nucleo pensante della società moderna.

 

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