Manovra, ipotesi nuovo scudo fiscale

Si cerca una soluzione per evitare l’innalzamento eccessivo della pressione fiscale e per reperire risorse alternative. Nei giorni scorsi, era sembrato che si potesse aprire uno spiraglio sull‘ipotesi di imporre un’aliquota aggiuntiva sui capitali rimpatriati dall’estero, attraverso lo scudo fiscale. Si era espresso con favore il deputato PDL, Maurizio Lupi, ma l’idea sta trovando difficoltà di realizzazione sia sotto il profilo giuridico che dell’oprtunità economica.

Quanto al primo, il condono cosiddetto “tombale” prevedeva il pagamento di un’aliquota del 5% sui capitali esportati illegalmente, nel caso fossero stati riportati in Italia. Con il pagamento della suddetta penale, lo stato rinunciava a chiedere altro. Rimettere in discussione tale norma sarebbe forse incostituzionale, in quanto rappresenterebbe un’imposta retroattiva e contravverrebbe a una norma precedente dello stesso stato.

Il secondo punto è legato al primo. Rimangiarsi la parola data, sul piano fiscale, non solo non aiuterebbe in futuro l’importazione di nuovi capitali, ma sarebbe un fatto che minaccerebbe la nostra credibilità all’estero, proprio in una fase, in cui la manovra è stata varata per confermare tale credibilità.

Per questo, a malincuore, si starebbero studiando altre soluzioni. Una di queste sarebbe un nuovo condono fiscale, con l’applicazione di un’aliquota più alta del precedente 5%, ma si discute sul livello. Se troppo alta, rischierebbe di diventare una norma-manifesto, ossia popolare, ma di scarsa efficacia. Bisognerà, quindi, trovare il giusto equilibrio, ma di certo non gioca positivamente l’idea che a soli due anni di distanza da un condono se ne faccia un altro. Di solito, infatti, i condoni dovrebbero avere il carattere dell’eccezionalità, altrimenti se prevedibili, rischiano di degradare il rapporto tra fisco e contribuente.

 

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