In Gran Bretagna l’eutanasia non è legale, però non è perseguibile. Questa è la situazione che si presenta a Londra verso uno dei grandi dilemmi dei paesi moderni: rendere o meno la “dolce morte” legale. Nonostante il Parlamento inglese si sia espresso negativamente nei confronti della proposta di rendere legale il cosiddetto “suicidio assistito”, i dati riguardanti i casi di eutanasia dicono che su 30 episodi finiti sotto l’attenzione dei giudici inglesi negli ultimi 18 mesi, neanche uno ha dato inizio ad un procedimento penale.
Questo escamotage, da molti considerato degno dello stile britannico, è stato ideato diffondendo 18 mesi fa dall’ufficio del Director of Public Prosecutions (DPP), delle nuove “linee guida” per i magistrati inglesi. Lord Falconer, ex Gran Cancelliere, ha approvato il provvedimento, ma ha precisato: << E’ giusto ricordare che il cambiamento era in atto anche prima dell’introduzione delle linee guida che, di fatto, hanno codificato un comportamento già in atto». Le misure – in forma temporanea – vennero introdotte da Keir Stermer, direttore del DPP, già nel settembre 2009. L’indicazione riguardante i casi di eutanasia è molto esplicita: se qualcuno, «mosso da compassione», aiuta un’altra persona a morire e il «chiaro e lucido desiderio» a togliersi la vita è facilmente dimostrabile, l’avvio del procedimento penale va considerato improbabile perché «non è nel pubblico interesse».
Uno dei casi più popolari è quello di Margaret Bateman, deceduta nella sua casa di Birstall, West Yorkshire, il 20 ottobre 2009. Il marito l’aveva aiutata a posizionare un sacco di plastica sulla sua testa, ma fu la stessa Margaret a sigillare il sacco e ad azionare la macchina per la distribuzione dell’elio che le tolse la vita. Nonostante l’accaduto, la Crown Presecution Service (CPS), pubblica accusa del Regno Unito, decise di non incriminare il marito, in quanto «la signora soffriva da decenni di dolori cronici e ha mostrato un inequivocabile desiderio di suicidarsi». Non c’erano sufficienti elementi per procedere, anche perchè «i colloqui con il marito e i figli lo confermano. E’ inoltre evidente che il signor Bateman abbia agito solo e unicamente per compassione».
Il rischio è che ora ci sia un “ammorbidimento” della magistratura inglese per quanto riguarda questi casi, ma il CPS ha assicurato: «Assistere o incoraggiare al suicidio resta un reato. Le nostre politiche offrono però ai magistrati una chiara cornice interpretativa per capire quali casi debbano finire in tribunale e quali no. Questo non significa aprire le porte all’eutanasia e aggirare il volere del Parlamento».