Bertolucci consegna il Leone d’Oro alla carriera a Marco Bellocchio

Accade a volte, durante manifestazioni particolarmente importanti, di ottenere la privilegiata possibilità di vedere, conoscere, capire non una, ma addirittura due celebri e geniali personalità, e di poterle confrontare.

Così, l’occasione della consegna, alla Mostra del Cinema di Venezia, del Leone d’Oro alla carriera a Marco Bellocchio ci ha permesso di assistere ad un’inedita e quanto mai memorabile scena, quella del lento passaggio del premio dalle mani di un direttore artistico della portata di Bernardo Bertolucci a quelle, brillanti di commozione, del regista nativo di Bobbio.

Un momento epico, a suggellare la grandezza di un modo di fare cinema, di uno sguardo della macchina da presa, che ci auguriamo non morirà mai.

Critico, distaccato e insieme sognatore, vittima di un’ispirazione e promotore di un giudizio costantemente fuori dagli schemi, Marco Bellocchio ha ricevuto, con un tremito non taciuto, il giusto riconoscimento al suo lavoro: “è un fatto che mi onora. E che mi emozioni è quasi scontato”. Ma, nonostante la pressione emotiva del momento, tira fuori il suo lato ironico, e sorride del fatto che a consegnargli l’illustre premio sia proprio Bertolucci, collega e ‘nemico’ di sempre. “In fondo”, dice il padre de “I pugni in tasca“, ” non è che siamo stati avversari ma abbiamo seguito strade diverse e anche ispirazioni diverse, tematiche diverse. Lui poi, in qualche modo, ha lasciato l’Italia ottenendo degli straordinari successi nel mondo. Io ho lavorato più dentro l’Italia. Però in fondo, pur nei contrasti, ci sono tutta una serie di complementarità tra noi, che non sono solo legate alla vicinanza tra i luoghi in cui siamo nati, tra Piacenza e Parma. Tra queste affinità c’è anche il fatto di essere coetanei, anche se lui è poco più giovane di me e tende sempre a sottolinearlo scherzosamente. In qualche modo siamo cresciuti insieme. Insomma, c’è sempre stata tra noi due reciproca attenzione e stima. E affetto. Inoltre, due prestigiosi premi alla carriera, la Palma alla carriera a Bernardo e il Leone a me nello stesso anno, oltre che un riconoscimento artistico importante, sono l’immagine di una ripartenza per altre avventure umane e artistiche che spero possano durare ancora a lungo’’.

A proposito del confronto con il cinema del passato, degli anni ’60/’70, Bellocchio non si lascia sfuggire parole di delusione e non si abbandona a languidi impeti di rimpianto: “Non mi è congeniale la nostalgia. Certamente il cinema è totalmente diverso da allora. Come si faceva, come si distribuiva, come si produceva. Adesso è tutto diverso. Però io penso, senza alcun romanticismo, che il discorso tecnico sia secondario. In un film mi interessa se c’è una reale ispirazione, se c’è una passione verso i personaggi rappresentati dagli attori. Questo rimane, almeno per me. Quindi si può ancora fare cinema”.

E a questo proposito il regista ha poi annunciato i suoi infaticabili propositi lavorativi: l’intenzione è quella di raccontare il difficile e controverso caso di Eluana Englaro, in un film che, come lei, si chiamerà “La bella addormentata“. “Quella storia e tutto quello che gli ruotò intorno”, ammette il regista, “mi colpì moltissimo. La storia di lei era già conclusa, sia chiaro, quindi non è un film su Eluana Englaro. E’ un film su come l’Italia ha vissuto il finale di quel dramma. Lo racconterò con dei personaggi e delle storie inventate che hanno come sfondo gli ultimi sei giorni di vita di Eluana, dal 3 al 9 di febbraio del 2009. Uno dei tre episodi del film è incentrato su un politico, per parlare del dibattito tra chi voleva in modo sfrenato approvare una legge che ’salvasse’ Eluana e invece chi si contrapponeva. La politica entrarà nel film, quindi. Ma solo in uno dei tre episodi. Gli altri due ruoteranno intorno a personaggi, non parenti o conoscenti diretti della ragazza, che in qualche modo si confronteranno con quel dramma”.

Per concludere, ci appropriamo delle parole di Marco Mueller, direttore uscente della Mostra, che così si è espresso a proposito del grande regista: “camminatore instancabile, traghettatore di idee, esploratore del confine instabile tra se stesso, il cinema e la storia, ha utilizzato come mappa, per orientarsi, il mondo che comincia oltre i confini della realtà visibile (e nell’inconscio). E ha così trovato i modi di espressione più vitali e giusti per raccontare l’urgenza di saperi, individuali e collettivi, indeboliti, o svaniti”.

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