Addio a Steve Jobs, volto di un capitalismo vincente

Questa notte si è spento a soli 56 anni Steve Jobs, padre del colosso informatico americano Apple, a causa di un tumore al pancreas. Con la morte di Jobs scompare uno dei protagonisti vincenti del capitalismo degli ultimi venti anni, che ha saputo ridare prima speranza e poi successo a un’azienda che negli anni Novanta era semplicemente data per morta.

All’inizio fu il Macintosh il prodotto di punta della Apple, seguito poi dall’iMac. Ma la vera rivoluzione di Jobs fu l’iPod, che rivoluzionò il modo di ascoltare musica, per non parlare del business online musicale con iTunes, che spinse i fruitori di brani a pagare 99 centesimi per scaricare una traccia, alimentando un mercato florido e sterminato.

Ma seguono ancora altri tre grandi successi di Jobs in pochissimi anni, come l’iPhone, che unì la telefonia alla musica, l’iPad e, infine, l’Apple Store. Tutti successi, che alimentarono la fama e l’immagine da rivoluzionario del padre della Apple, che non a caso oggi viene osannato come una rockstar, per i suoi meriti proprio nel campo della tecnologia musicale.

Eppure, il suo colosso non aveva una politica di immagine al pari delle altre multinazionali. Il rapporto con i giornalisti era cattivo, poche informazioni trapelavano da Cupertino. E Steve Jobs fu un capitalista all’antica, con la faccia da “rivoluzionario” nelle sue poche e programmate apparizioni pubbliche, ma duro ed esigentissimo con i suoi dirigenti.

Scartava numerosi progetti, prima di puntare su uno. Applicava le regole del capitalismo alla lettera e questo lo rende ancora più affascinante, se si pensa che oggi alla sua morte, molti pensano di avere perso un capitalista progressista, dai modi innovatori di fare business. La sua innovazione fu nei prodotti, non nel modo di fare denaro. Per questo, è una grande perdita.

 

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