PDL e il caso manovra, se dice sì Alfano è finito

Non è stata ancora presentata ufficialmente la manovra finanziaria di almeno 11 miliardi che il governo Monti si accinge a varare al prossimo Consiglio dei ministri di lunedì. Ma già circolano tantissime indiscrezioni su quella che potrebbe essere l’ennesima stangata fiscale contro le famiglie, mentre di risparmi di spesa non ce ne sarebbe l’ombra. Una manovra fatta sola di tasse, alla faccia del premier professore, che fino a tempo fa invitava Berlusconi a fare le riforme strutturali e a ridurre la spesa pubblica. Si sa che quasi certamente aumenterà l’Irpef sugli ultimi due scaglioni di reddito, così come verrà reintrodotta l’ICI sulla prima casa e inasprita sulla seconda, prevedendo un criterio di tipo patrimoniale. E per finire una serie di balzelli sui beni di lusso, con la prospettiva anche di un aumento dell’IVA. E questo, mentre già gli italiani pagano il 44% del pil in tasse. Per non parlare della volontà di Monti di ridurre a 100 euro il limite massimo oltre il quale sarebbe vietato il pagamento in contanti. E non risulta difficile capire che un governo di banchieri abbia voglia di far passare ogni transazione finanziaria nelle mani delle banche.

Per questo, la manovra che il Parlamento si accinge a varare sarà soprattutto un test per l’identità del PDL. Berlusconi e la sua coalizione hanno sempre fatto della lotta alle tasse un cavallo di battaglia, anche se non sono mai riusciti ad abbassarle, ma quanto meno si sono limitati a non aumentarle, se non un pò nell’ultima manovra estiva di Tremonti.

Qualora il segretario del partito, Angelino Alfano, desse il suo assenso a una stangata fiscale, va da sé che non avrebbe futuro politico. Non potrebbe presentarsi in modo credibile agli elettori, sostenendo di essere l’uomo delle meno tasse e della libertà dall’oppressione burocratica e dello stato, dopo avere approvato siffatte leggi. Si dirà che il partito è ancora nelle mani dell’ex premier Berlusconi, ma se Alfano ha un suo profilo personale, non volendosi limitare al ruolo di “nominato”, è evidente che deve mettersi in gioco e sapere dire di no. Finora, ha sempre detto di sì: a Monti, ai ministri, ai sottosegretari nominati dal neo-premier, senza neppure tenere in considerazione il PDL.

Si vedrà nelle prossime 72 ore se Alfano avrà la stoffa del leader o se opterà per diventare uno “yesman” delle imposizioni franco-tedesche di Monti. La sua credibilità è fortissimamente a rischio.

Impostazioni privacy