Iran blocca greggio verso Francia e GB, Brent s’impenna

Un colpo al cuore delle potenzialità di ripresa in corso d’anno per l’Europa. Ieri, il ministro iraniano del Petrolio, Alireza Nikzad, ha annunciato che le forniture di greggio verso Francia e Gran Bretagna saranno sospese, attuando una decisione in tal senso da parte del ministro degli Esteri. Lo stop arriva dopo che Bruxelles ha deciso di imporre sanzioni contro l’Iran, bloccando le operazioni con la sua banca centrale e vietando alle imprese europee di fare affari con la Repubblica islamica, a partire dal mese di luglio.

L’Iran produce quotidianamente 3,5 milioni di barili di petrolio e ne esporta 2,5 milioni. La UE assorbe poco più del 20% delle sue esportazioni, per circa 600 mila barili al giorno. Italia e Spagna sono i Paesi europei che maggiormente importano da Teheran, con la sola Italia che acquista 180 mila barili, pari al 13% del suo intero fabbisogno.

A dire il vero, nei giorni scorsi era circolata la voce che una serie di Paesi, tra cui il nostro, avrebbe subito il blocco delle importazioni. La notizia era stata poi smentita dalle fonti ufficiali iraniane, ma alla luce di quanto comunicato ieri sembra preludere a una decisione prossima in tal senso. E per l’Italia sarebbe un bel guaio, perché non sarebbe facile in queste condizioni geo-politiche sostituire l’ammontare mancante di greggio. Un aiuto potrebbe arrivare dall’Arabia Saudita, la quale ha già fatto sapere che nel caso l’Iran bloccasse le esportazioni verso la UE, sarebbe disponibile ad incrementare la sua produzione, per attutirne gli effetti. E non sarebbe l’unica minaccia iraniana, nemmeno quella più dura. Ahmadinejad minaccia di bloccare lo stretto di Hormuz, presso cui passa il 20% del greggio mondiale.

Se tale blocco fosse attuato, il pianeta intero piomberebbe in una nuova crisi petrolifera, anche se tale scenario sembrerebbe un’ipotesi estrema a cui Teheran ricorrerebbe, magari nel caso di un attacco militare degli USA e/o Israele. Bloccare Hormuz, infatti, per l’economia iraniana significherebbe il disastro, perché verrebbero meno tutte le sue esportazioni di greggio. 

Il 70% delle esportazioni iraniane di greggio trova come sbocco l’Asia. Ed è evidente come la Cina sia una delle economie più importanti, per i suoi ritmi sostenuti di crescita e la sete continua di petrolio. Nelle scorse settimane, anche a seguito di pressioni da parte di USA ed Europa, Pechino non ha acquistato nuovo petrolio dall’Iran, dando vita a una querelle con Teheran sul prezzo di acquisto, che i cinesi vorrebbero più basso, per effetto della minore domanda globale (lo stop delle importazioni UE). Al contrario, l’Iran avrebbe voluto imporre un prezzo più alto, per recuperare i profitti perduti con le sanzioni della UE.

Tuttavia, pare che nelle ultime ore Cina e Iran stiano giungendo a un accordo, che consentirebbe alla seconda di vendere al colosso asiatico circa 500 mila barili di greggio al giorno, grosso modo quelli che le mancherebbero se lo stop europeo da luglio dovesse avere seguito. Tale accordo andrebbe a discapito degli interessi dell’Europa, in quanto non solo le sue sanzioni sarebbero un’arma spuntata, ma Teheran avrebbe meno remore nel dare vita allo stop delle esportazioni, avendo trovato nuovi contratti alternativi.

E già ieri, sull’onda delle pessime notizie sul fronte geo-politico, il prezzo del Brent europeo è schizzato a 120 dollari al barile, mentre gli esperti del Fondo Monetario Internazionale stimano che nel caso da luglio si dovesse procedere al blocco, si arriverebbe a 150 dollari al barile. E calcolando che ogni 10 dollari in più del prezzo del petrolio si traduce in una minore crescita del pil dello 0,5%, un incremento di 30 dollari significherebbe un pil in una decrescita dell’1,5%.

Le conseguenze sarebbero devastanti per un’economia come quella italiana, già in recessione, che vedrebbe allontanare ancora di più la prospettiva di agganciare la ripresa nel corso di questo 2012. E non bisogna trascurare l’effetto dirompente che il blocco avrebbe sui nostri prezzi. L’Italia è un Paese, dove ancora oggi l’80% delle merci viaggia su gomma, risentendo maggiormente delle oscillazioni del prezzo del greggio.

Un’impennata del costo del carburante si tradurrebbe in una crescita immediata, anzitutto, dei prezzi dei generi alimentari, in particolare, di quelli deperibili e di frutta e verdura. L’accelerazione dell’inflazione porterebbe a una riduzione dei consumi privati e a un calo ulteriore della produzione, con effetti negativi sul pil.

Molto dipenderà da cosa accadrà nei mesi prossimi sul fronte del nucleare iraniano e dei rapporti interni all’Opec. Se il ministro degli Esteri della Gran Bretagna, William Hague, non sembra escludere un’opzione militare, sebbene inviti Israele a desistere da atti isolati, d’altro canto c’è anche la questione della successione del segretario generale dell’Opec, che dovrà avvenire nei prossimi quattro mesi.

Attualmente, è il libico Abdullah al-Badri, ma se il prossimo dovesse essere un candidato proveniente dalle fila degli stati anti-iraniani e capeggiati dall’Arabia Saudita, allora si potrebbe sperare in una schiarita. Al contrario, se dovesse essere l’Iran a riuscire a imporre un suo uomo, il conflitto con l’Occidente sarebbe destinato ad acuirsi, avendo l’organizzazione potere decisionale sui livelli produttivi di greggio e sui relativi prezzi.

 

 

 

 

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