Bersani avverte Monti su lavoro, Berlusconi pronto a sostenerlo anche nel 2013

Chi di spada ferisce, di spada perisce. Il vecchio detto è quanto di meglio potrebbe rappresentare l’attuale situazione politica in Italia, con un governo tecnico nato sulla spinta di un disegno orchestrato a sinistra e al centro e sostenuto ampiamente dal Quirinale. In una prima fase, Monti è stato subito dal PDL, che dopo avere perso la guida del governo e ingoiato il rospo amarissimo del disarcionamento di Berlusconi, aveva dovuto sostenere misure ampiamente impopolari, quali l’inasprimento della pressione fiscale sui redditi e sugli immobili.

Ma è la fase due, quella rivolta al sostegno della crescita, che adesso rischia di trasformarsi in un boomerang per Bersani e il suo Partito Democratico, che pensavano di creare problemi insormontabili nel centrodestra con le liberalizzazioni. Certo, i mugugni nel PDL restano, perché molti deputati e senatori hanno quasi una concezione patronale dell’economia, per cui le categorie professionali sarebbero “loro”.

Tuttavia, non siamo alla diaspora tanto attesa e sperata a sinistra, anzi, il PDL mostra una relativa compattezza, che rappresenta più di un fattore di stupore, se pensiamo a come stia messo male questo partito sotto tutti i punti di vista. Invece, i malumori crescono pericolosamente nel PD, come dimostra ampiamente il caso sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Il governo vorrebbe riformarlo, prevedendo una sospensione dell’obbligo di reintegro sul posto di lavoro per i licenziamenti senza giusta causa, per i neo-assunti, magari per i primi tre anni di attività in un’azienda. E’ noto come la Cgil sia ferocemente contraria a tale ipotesi, così come tutto il mondo della sinistra, che vede nella norma un nucleo ideologico da salvaguardare a tutti i costi.

Il partito di Bersani si è mostrato diviso sull’argomento. Un paio di giorni fa, l’ex segretario Walter Veltroni ha dichiarato che il PD dovrebbe sostenere la riforma dell’articolo 18, voluta dal governo. Per tutta risposta, il responsabile economico Stefano Fassina, già al centro di polemiche nei mesi scorsi, ha sottolineato come le posizioni di Veltroni siano più simili a quelle del PDL che a quelle del PD.

E sul caso è intervenuto anche il segretario Pierluigi Bersani, il quale ha messo sull’avviso il premier Monti: “non è scontato il nostro sì alla riforma”. Di fatto, da un punto di vista sociale, è stato votato ben peggio dal PD sotto Monti, come l’aumento dell’età pensionabile per le donne da 60 a 66 anni. Tuttavia, quella dell’articolo 18 viene guardata come una svolta pericolosa, perché allontanerebbe il PD dalla base e lascerebbe spazi alla sinistra radicale di Nichi Vendola, che già annuncia di mobilitare mari e monti contro il governo.

Dall’altra parte della maggioranza, l’ex premier sta mettendo a punto quello che dovrebbe essere il nuovo partito. In queste settimane, in tutta Italia si stanno celebrando i congressi provinciali, che rappresentano la prima volta che il PDL è chiamato ad eleggere democraticamente la propria classe dirigente. Il partito non gode dei favori dei sondaggi, come ammette lo stesso Berlusconi, che parla di un consenso al 23,6% su base nazionale e come dimostrano le dichiarazioni del coordinatore Ignazio La Russa, che vorrebbe quasi sostituire il PDL con una serie di liste civiche alle amministrative di primavera.

Berlusconi sta lavorando a un nuovo soggetto politico, in grado di intercettare i voti in fuga dal PDL, ritenendo che alcuni difetti della sua creatura non siano riformabili. Ma è sul sostegno a Mario Monti che si aprono gli scenari più interessanti per il centrodestra. L’ex premier vorrebbe progressivamente sostituire all’alleanza con la Lega Nord quella con l’UDC, già partendo dalle prossime amministrative.

Non solo. Ai suoi avrebbe palesato l’obiettivo di non lasciare Monti alla sinistra, sostenendolo nelle riforme che presenterà in Parlamento da qui alla primavera del 2013. Ma non è tutto. Prendendo atto che mollare il premier e andare il voto in queste condizioni, il PDL sarebbe destinato a una sconfitta penosa e scontata, Berlusconi penserebbe a un sostegno a Monti che vada anche oltre il 2013. Come?

La fantasia dei più sarebbe al top. Il prossimo anno scade la presidenza di Napolitano e quale miglior candidato di Monti per il Quirinale, avendo goduto già a quel punto di quasi un anno e mezzo di sostegno bipartisan in Parlamento? E se l’indicazione provenisse dal PDL, allora sarebbe il centrodestra ad imporre una sorta di “golden share” sul nome del prossimo presidente, per quanto si debbano fare i conti con i risultati elettorali delle prossime politiche.

Un’altra ipotesi sarebbe il sostegno del centrodestra di Monti a capo della Commissione Europea. Qui, sorgerebbero due questioni di non poco conto. La carica sarebbe rinnovata solo nel 2014, ma nel frattempo ci sarebbe un buco temporale di un anno. Che fare? E poi difficilmente la Commissione andrebbe all’Italia, avendo il nostro Paese già la presidenza della BCE ed essendo Prodi stato a capo di Bruxelles fino al 2004. Insomma, l’ipotesi sembra più teorica che concreta.

Resta in piedi l’idea che Monti possa guidare anche il nuovo governo uscito dalle urne del 2013, magari sostenuto da una maggioranza, che metta insieme il PDL e i centristi di Casini.

 

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