L’Ue avverte ancora l’Italia sulla gestione dei rifiuti: sotto accusa discariche di tutta la penisola

Chi pensava che la gestione della spazzatura fosse un problema limitato a Napoli, da oggi sarà costretto a ricredersi. Da Bruxelles arriva una decisione della Commissione europea che di sicuro farà molto discutere, una lettera di messa in mora verso il nostro Paese (atto che indica l’apertura di una procedura di infrazione) per il mancato rispetto della direttiva europea del 1999 sulle discariche di rifiuti. L’Italia è accusata di non aver rispettato l’articolo 14 della normativa, che prevedeva per gli stati membri di chiudere entro il 16 luglio 2009 le discariche già operative sino al 1999, a meno che non fossero conformi alla direttiva europea. Sotto l’occhio vigile di Bruxelles ci sono quindi almeno 102 discariche, di cui tre di rifiuti pericolosi e situate in Abruzzo, Basilicata, Calabria, Friuli Venezia Giulia, Campania, Emilia Romagna, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Sardegna e Umbria.

La Commissione Ue precisa che più volte sono stati chiesti chiarimenti all’Italia, e già nel settembre del 2009 in un’altra missiva era stata segnalata la presenza di almeno 187 discariche non ancora chiuse, o comunque non rispettose delle linee guida fissate. Il 16 maggio 2011 l’Italia è riuscita a chiarire la situazione, arrivando ad oggi quando viene ancora contestata la presenza in 14 regioni di impianti irregolari.

il ministro dell’Ambiente Corrado Clini è intervenuto sulla vicenda, affermando nel nostro Paese ci sono troppe discariche “…che non sono da anni identificate come una soluzione per la gestione dei rifiuti. L’infrazione è quindi uno stimolo ad aumentare e rafforzare la raccolta differenziata e anche ad aumentare la quota di recupero energetico dai rifiuti. Bisogna lavorare in questa direzione”.

Intanto, la messa in mora rappresenta l’inizio di un nuovo rischio per l’Italia, quando ancora la situazione nel capolouogo partenopeo, seppur migliorata, è sempre sotto osservazione, e dopo la recente condanna del 2010. In quell’occasione la procedura d’infrazione era stata avviata nel 2008, ed infine giudici lussemburghesi decisero che non erano state adottate “tutte le misure necessarie” per evitare il disastro in Campania, con “pericolo per la salute umana e pregiudizio all’ambiente”, stigmatizzando il fatto che “né l’opposizione della popolazione né gli inadempimenti contrattuali e neppure l’esistenza di attività criminali costituiscono casi di forza maggiore che possono giustificare la violazione degli obblighi derivanti dalla direttiva”.

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