Marò in carcere: Terzi convoca l’ambasciatore indiano, ormai si invoca l’intervento dell’Europa

L’Italia comincia ad alzare la voce contro l’atteggiamento di chiusura del governo indiano rispetto alla vicenda dei due marò, anche cominciando a chiedere l’interessamento formale da parte della Ue. Il vice presidente dell’Europarlamento, Gianni Pittella, intervistato da Tgsky24 ha rivelato oggi pomeriggio di aver già sollecitato tramite il presidente Martin Schulz “un intervento immediato delle istituzioni europee”, quando ancora ieri, per bocca di Catherine Ashton, rappresentante per la politica estera e la sicurezza comune, la Commissione si era espressa in modo cauto sulla vicenda, affermando di seguirla “da vicino” ma delegando completa operatività alle Istituzioni italiane, che “non avevano ancora chiesto” assistenza. Pittella ha spiegato come il fenomeno della pirateria, particolarmente attivo nella zone dell’incidente, abbia richiesto la creazione della missione Atalanta, sotto l’egida dell’Unione, e di conseguenza Bruxelles non possa evitare il suo coinvolgimento: “Vanno messi in campo tutti gli strumenti di pressione per tutelare i diritti di due cittadini europei e per chiedere il rispetto della normativa internazionale, comprese misure di deterrenza sul piano degli scambi commerciali“.

Il ministro degli Esteri, Giulio Terzi, in mattinata ha convocato l’ambasciatore indiano a Roma, Debrabata Saha, e gli ha rappresentato una “ferma protesta” per la condotta delle autorita’ indiane nei confronti dei militari italiani, giudicata ormai “inaccettabile”, e riferendosi particolarmente al prolungato fermo giudiziario, divenuto ora formalmente carcerazione, nonostante le condizioni particolari adottate per tenere separati i marò dai detenuti locali.

Il ministro degli Esteri ha anche posto l’accento sulla preoccupazione derivante dal clima di tensione ed ostilità verso l’Italia, che rischia di gettare un rilevante pregiudizio sul procedimento giudiziario in corso. Intanto il sottosegretario agli Esteri, Staffan De Mistura, inviato in India da alcune settimane in rappresentanza del governo italiano, pur se lievemente sollevato dalla sistemazione dei militari in una struttura separata all’interno del carcere di Trivandrum, non ha adottato toni morbidi. Secondo quanto riferito personalmente dal De Mistura, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre “Stanno bene” e si è ottenuto, tra le altre cose, che possano telefonare, avere cibo italiano e rimangano vestiti con la loro divisa, “preservando la loro dignità”. In ogni caso, anche il sottosegretario non usa mezzi termini per descrivere l’irritazione dovuta alla delicatezza della situazione, e sottolinea la necessita del coinvolgimento di altri paesi: “E’ un fatto inaccettabile, sia per l’Italia che per l’India che, un domani, potrebbe trovarsi in una situazione analoga. I nostri sono soldati europei che erano li’ per lavorare con altri per evitare attacchi di pirati. Questo e’ un caso che oggi si applica a noi e domani potrebbe applicarsi a qualcun altro. Aspettavamo la prova del nove, quella balistica, per poi accelerare l’aspetto internazionale. Dopo quello che e’ avvenuto ieri non aspettiamo piu’ perche’ c’e’ stata un’accelerazione nella direzione sbagliata“.

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Venerdi’ è prevista la prova balistica, e De Mistura, ribadendo ancora una volta la vicinanza dell’Italia alle famiglie dei pescatori del Kerala uccisi, avvisa tuttavia l’India: “I nostri militari, indipendentemente dai risultati delle prove balistiche, hanno il diritto di essere giudicati a casa, in Italia. Crediamo a quello che hanno detto i nostri maro’, poi tutto puo’ succedere, si puo’ anche sbagliare, pero’ prima vogliamo difendere i due maro’, poi vogliamo cercare la verita’ per difenderli ancora meglio”.

Purtroppo la situazione pare risentire anche di una strumentalizzazione a fini politici, tutta interna al Parlamento indiano guidato dalla maggioranza di Sonia Gandhi, che si trova a dover respingere le accuse dell’opposizione, secondo la quale ci sarebbe “eccessivo garantismo” verso gli italiani. Anche in India, quindi, c’è l’usanza di cavalcare lo scontento popolare per guadagnare consenso.

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