Berlusconi ai suoi: “Situazione drammatica. Famiglie e imprese stangate”

L’ufficio di presidenza di ieri del PDL è stato l’occasione per fare chiarezza sui temi più importanti dell’agenda politica di queste settimane, oltre che a fare il punto sulla tenuta del partito e la sua coesione interna. Era presente l’ex premier Silvio Berlusconi, che ha presieduto il vertice dinnanzi allo stato maggiore del partito. Mai come ieri era fondamentale per il PDL riunirsi, dopo le polemiche accese tra ex An ed ex Fi e trasversalmente a queste componenti. La goccia che aveva fatto traboccare il vaso era stata un’intervista dell’ex governatore veneto, Giancarlo Galan, che aveva auspicato un ritorno al ’94 e alla separazione tra ex An e ex forzisti.

Su questo, Galan ha puntualizzato: non un ritorno alla separazione tra i vecchi partiti, quanto allo spirito del ’94. Una precisazione, che ha ottenuto il plauso di deputati come Giorgia Meloni, che ha invitato il partito nella sua unitarietà proprio a ritrovare quello spirito.

Dello stesso segno tutte le reazioni degli ex An. Quando Mario Landolfi si alza e dice “basta con ex An ed ex Fi” viene interrotto dal presidente Berlusconi, che esclama: “Bravo, Mario. Devo ammettere che gli ex An non si sono mai messi di traverso nel mio governo, ad eccezione di Gianfranco Fini”. E proprio su Fini c’è l’amara constatazione dell’ex presidente del consiglio, che ricorda come la situazione politica alla quale si è arrivati oggi sia solo il frutto dell’addio al governo del presidente della Camera e della diaspora provocata in Parlamento con il suo gruppo Futuro e Libertà. Se non fosse accaduto tutto questo, aggiunge Berlusconi, oggi ci saremmo ancora noi a Palazzo Chigi.

Ma c’è poco tempo per lagnarsi del passato. Incombe il problema della legge elettorale. Proprio su questo punto era stato convocato l’ufficio di presidenza, visto che anche all’interno del PDL non c’è unanimità di vedute sul tema. Il commento che sintetizza meglio la posizione dei contrari all’accordo preliminare tra Alfano, Bersani e Casini è di Giorgia Meloni, quando dice senza giri di parole a Berlusconi che va salvaguardato il bipolarismo costruito negli anni e che è stato proprio da lui incarnato. Le fa sponda Ignazio La Russa, che afferma che bisogna passare da un bipolarismo imperniato su alleanze che poi non governano a uno che poggi le basi su grandi partiti, ma senza accettare l’idea che le maggioranze si costruiscano in Parlamento e non alle urne.

Il più critico di tutti è stato Altero Matteoli, il quale ha detto chiaramente a Berlusconi che il governo Monti non gli piace. L’ex premier gli ha prontamente risposto di capire questa posizione, ma che non ci sarebbe alternativa per ora. Detto ciò, tuttavia, è stato lo stesso Berlusconi a cogliere il grido di dolore di imprenditori e famiglie e ha fatto presente ai presenti al vertice che la situazione del Paese è drammatica e che tra aumenti di banzina, IMU, l’arrivo della stangata IVA al 23% e altre tasse, molti imprenditori gli avrebbero confidato che delocalizzeranno la produzione e che i beni di lusso sarebbero scomparsi. Il presidente del partito racconta di essere stato a una cena con imprenditori e che nessuno di questi gli avrebbe prospettato una situazione positiva.

Ma non è solo e tanto colpa di Monti, aggiunge Berlusconi. Il guaio, secondo l’ex premier, sarebbe la politica di sola austerità che la Germania di Angela Merkel sta imponendo a tutta l’Europa. Per questo, visto la situazione eccezionale in cui è piombato il Paese, ha chiesto a tutto il partito di stare massimamente unito.

A questo punto, la proposta di legge che il partito dovrebbe portare al tavolo delle trattative con gli alleati della inedita maggioranza sarebbe il frutto di un equilibrio interno su cui continua a mediare proprio Ignazio La Russa. Si tratterebbe di un sistema completamente proporzionale, come lo è già oggi, con uno sbarramento congruo, intorno al 4-5% e un premio di maggioranza per il primo e secondo partito, che otterrebbero così alla Camera 24 e 12 seggi in più, rispettivamente.

I seggi sarebbero ripartiti per il 50% in piccoli collegi, in modo da dare agli elettori una scelta limpida su chi votare e innalzare nei fatti lo sbarramento per accedere in Parlamento. Infatti, non sarebbe accolta l’idea di Casini di ripartire tutti i seggi a livello nazionale, in un unico grande collegio, perché ciò premierebbe il suo partito e alimenterebbe la frammentazione. Il restante 50% sarebbe, invece, ripartito con liste bloccate, un pò per tutelare gli ex An e i fedelissimi di ciascuna segreteria.

Ovviamente, questa proposta non prevede costruzioni di coalizioni, semmai l’indicazione del candidato premier per ciascuna lista.

E’ chiaro che molto dipenderà dall’esito delle amministrative, prima delle quali non ci sarà nessuna vera discussione sul modello elettorale da adottare.

Di certo, anche quest’ultima indicazione che emergerebbe dal vertice pidiellino non lascerebbe dormire sonni tranquilli a forze come la Lega Nord e l’Idv di Di Pietro, visto che si andrebbe verso un sistema meno ingessato e che assegna più forza ai partiti più forti, che attualmente sono PDL e PD.

 

 

 

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