USA, Romney fa tripletta e mette le mani sulla nomination

Non era proprio un Super-Tuesday, ma ieri negli USA ben tre stati sono stati chiamati a votare per il rivale da contrapporre al presidente in carica Barack Obama. Si trattava del Wisconsin, del Maryland e della Columbia, il distretto federale dove ha sede la capitale Washington. In tutti e tre i casi, Mitt Romney ha vinto e con un buon margine sugli avversari. Quando è stato scrutinato il 90% delle schede, si sa che Romney ha dilagato a Washington con il 68% delle preferenze, nel Maryland avrebbe ottenuto il 48% contro il 30% scarso di Rick Santorum e nel Maryland si sarebbe imposto con minore divario con il  42% contro il 38% dell’italo-americano.

Praticamente assenti dalla scena gli altri sfidanti ancora in gara, che non si rassegnano delle sconfitte subite a ripetizione in ogni stato in cui si presentano, aspirando certamente di ottenere un numero sufficiente di delegati alla convention di Tampa Bay in Florida per essere determinanti, nel caso in cui nessuno dei candidati dovesse essere in grado di raggiungere la maggioranza assoluta dei delegati validi per la nomination. Il numero magico è 1.144 e, in effetti, fino a poche settimane fa il pericolo di un candidato di minoranza sembrava andare per la meglio, ma oggi tale timore sembra essere fortemente ridimensionato.

Ieri, con la conquista dei tre stati, Romney ha superato la soglia simbolica della metà dei delegati necessari alla nomination, aggiudicandosi ad oggi tra 640 e 648 delegati, contro gli appena 264 di Santorum. Ormai, che la nomination sia del mormone lo sanno tutti, Santorum compreso, che ieri sera ha mostrato un certo nervosismo, quando alcuni giornalisti gli si sono avvicinati a fargli domande scomode. L’italo-americano, che rappresenta la destra più conservatrice e legata ai valori dell’uomo della strada, ha citato a caldo l’attore Clint Eastwood, nel commentare gli exit-poll poco entusiasmanti che lo vedevano ovunque sconfitto, affermando che “siamo a metà strada, l’altra metà del Paese deve ancora esprimersi”.

E se ciò è ancora vero, tuttavia, le chances di una sua vittoria ad agosto alla convention del Partito Repubblicano non sembrano essere significative. Ha meno della metà dei delegati di Romney e appena un quarto di quelli sufficienti per la nomination. Dovrebbe cavalcare una rimonta impressionante per recuperare sull’avversario.

Il prossimo appuntamento sarà il mini Super-Tuesday del 24 aprile, quando cinque stati saranno chiamati ad esprimersi e sono: Connecticut, Delaware, Rhode Island, New York e Pennsylvania. Inutile dire che questi ultimi due sono molto significativi, sia in termini numerici che di significato simbolico.

In particolare, il Pennsylvania è lo stato dove Rick Santorum è stato eletto per una volta senatore, salvo essere impallinato il turno successivo dal rivale Democratico. Nei sondaggi, resta saldamente in testa in questo stato e questo è comprensibile. Tuttavia, dopo la tripletta di ieri in favore di Romney, una rimonta di quest’ultimo sarebbe ancora possibile anche nello stato del suo rivale diretto e se accadesse sarebbe la certificazione della debolezza di Santorum.

Non è un caso che con il vento tornato in poppa, il mormone abbia indirizzato le sue invettive tutte contro Obama, accusato di essere un incompetente in economia e di non avere il polso del Paese. Euforico nel vedere gli exit-poll, Romney ha affermato che il presidente in carica sarebbe stato eletto più per la sua storia straordinaria che per la sua bravura o preparazione e ha infierito contro quello che quasi certamente dovrà tentare di sconfiggere il 6 novembre prossimo, invitandolo ad ascoltare gli americani della strada, per verificare i successi della sua amministrazione. Non ultimo, ha ricordato come 46 milioni di americani vivano con i buoni pasto dell’assistenza sociale, ironizzando sul successo in economia di Obama.

I sondaggi nelle ultime settimane sono altalenanti. Qualche settimana fa, Romney era dato in testa di due punti percentuali su Obama in un’ipotetica sfida presidenziale. Ora, pare che la situazione si sia ribaltata e per questo sia l’ex governatore del Massachussetts che i dirigenti nazionali del GOP lanciano l’invito a tutti i candidati ad abbassare i toni dello scontro interno e di evitare di trascinare la sfida oltre i tempi dovuti. Il timore è che il protrarsi di queste primarie conduca dritti a una sconfitta a novembre, per via delle divisioni tra gli elettori del proprio campo, esacerbate dal procrastinarsi dei tempi per l’ottenimento della nomination.

Ad ogni modo, Mitt Romney è già alle prese con la ricerca del candidato alla vice-presidenza. Si fanno diversi nomi, tra cui quello del governatore di New York, Chris Christie, che era stato chiamato in autunno a scendere in campo per la nomination. Invito declinato subito dall’uomo.

In realtà, uno dei nomi più papabili sarebbe proprio quello di Rick Santorum, perché avrebbe il merito di compattare la destra conservatrice intorno al candidato Romney, evitando di disperdere voti a destra.

Interessante notare, poi, come la vittoria di ieri sia da ascrivere proprio ai cosiddetti “white collars”, ai “colletti bianchi”, che rappresentano il ceto medio americano, indispensabile per battere Obama il 6 novembre.

 

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