Dopo Renzo Bossi tocca a Rosy Mauro. Veneti vogliono segreteria

Terremoto e scosse di assestamento. Questa è la situazione a cui è arrivata la Lega Nord, dopo che pochi giorni fa era stato il segretario storico del partito, Umberto Bossi, a fare il tanto atteso passo indietro, per ridare un’immagine pulita al Carroccio, travolto dallo scandalo sull’uso distorto e personale dei finanziamenti pubblici. Ieri, ad essere rimasto vittima del tritacarne mediatico-giudiziario è stato Renzo, il figlio del Senatùr, chiamato anche “Il Trota”. Si è dimesso da consigliere regionale della Lombardia, dove ricopriva l’incarico dal 2010, quando fu eletto con le preferenze, cosa che oggi molti fingono di dimenticare. Perché piaccia o no, Renzo Bossi fu eletto democraticamente e non dentro un listino bloccato, come molti parlamentari che lo criticano.

Ad ogni modo, il passo indietro anche del figlio è stato considerato da tutti un fatto obbligato e il padre Umberto si congratula per la decisione, sottolineando come da due mesi egli gli avesse mostrato l’intenzione di lasciare la regione, perché “stufo”.

Non è un caso, però, che le dimissioni del Trota arrivino nelle stesse ore in cui sono giunte le dichiarazioni del suo ex autista, Alessandro Marmello, intervistato dal settimanale “Oggi”. L’uomo, annusata l’aria, si sfoga e parla delle spese di Renzo Bossi, affermando di essere stato il suo bancomat personale per lungo tempo. Assunto come autista per tre mesi, successivamente il suo contratto è stato tramutato a tempo indeterminato alle dipendenze della Lega. Da allora, ebbe la disponibilità di accedere ai conti del Carroccio, potendo finanziare praticamente ogni tipo di spesa, fino a mille euro per volta, dietro presentazione di scontrini e giustificazioni di acquisti. Niente di male, se nonché Marmello dichiara che molte spese sarebbero state effettuate a titolo “personale” da Renzo, per acquistare farmaci, fare benzina alla sua auto privata, etc. L’uomo si sfoga, sostenendo di avere acceduto ai conti dietro personale responsabilità e forse ha iniziato a parlare, proprio per evitare di ritrovarsi sul banco degli imputati, come i suoi più illustri colleghi di sventura.

Ma adesso che padre e figlio sono stati fatti fuori in meno di una settimana, tocca agli altri membri del “cerchio magico” lasciare gli incarichi. La prossima vittima quasi certa sarà Rosy Mauro, vice-presidente del Senato, vicinissima a Umberto Bossi. Chiamata la “badante”, perché era l’ombra del Senatùr, la Mauro è anche a capo del fantomatico Sin.pa, il sindacato padano, nei fatti inesistente sul territorio.

Subito dopo le dimissioni di Bossi, il Terzo Polo aveva minacciato di non partecipare più alle riunioni del Senato, qualora Rosy Mauro si fosse ostinata a restare in carica, visto che molte documentazioni dimostrerebbero un uso personale dei fondi anche da parte sua. Una minaccia esagerata, se si considera i livelli di impunità e di accuse contro molti esponenti del Parlamento italiano, ma che si configurerebbe quale strategia politica un pò di tutti gli schieramenti per sbarazzarsi in poco tempo del Carroccio.

In queste ore, Rosy Mauro sarebbe a colloquio con altri dirigenti leghisti, Senatùr compreso. Le sue dimissioni sono attese presto, forse anche in giornata. Lo stesso Roberto Calderoli, che fa parte del triumvirato che gestisce transitoriamente il partito fino al congresso di autunno, ha affermato che si discuterà di questo fatto, anche se non ha chiesto esplicitamente le dimissioni, cosa che il senatore Garavaglia sollecita senza tentennamenti.

D’altronde il post di Roberto Maroni su Facebook parla chiaro: Pulizia, pulizia, pulizia. E’ quello che chiede la base in tumulto e disorientata dallo scandalo. Tuttavia, sebbene sia uno tra i pochi illustri estranei alle vicende sui finanziamenti, lo stesso Maroni potrebbe ritrovarsi danneggiato da quanto sta accadendo in questi ultimi giorni.

Lo scandalo dei fondi neri e delle spese ingiustificate del Carroccio ha messo a nudo una gestione cattiva della tesoreria da parte dei “lombardi”, coloro che ad oggi hanno spadroneggiato dentro al partito. E così, quello che fino a una settimana fa sembrava impensabile, adesso non lo è più: i veneti reclamano esplicitamente la segreteria; vogliono avere la loro occasione, per dimostrare di essere migliori dei loro vicini di casa, da sempre guardati con sospetto e tra i quali non ha mai corso buon sangue.

E così, sono due i nomi che potrebbero essere spesi dal Nord-Est per tentare l’impossibile: Flavio Tosi e Luca Zaia, rispettivamente sindaco di Verona e governatore del Veneto. Personaggi molto popolari, Tosi e Zaia suscitano molta ammirazione anche tra gli elettori non proprio del Carroccio, come dimostrano le loro vittorie bulgare ottenute negli anni passati per gli incarichi che stanno ricoprendo.

Hanno dalla loro l’essere giovani, non volti storici della Lega. Tosi, poi, è quello che negli ultimi mesi si è speso di più e in tempi non sospetti per chiedere una gestione più pulita e partecipata del partito. Sono note le polemiche con l’ex capo, che arrivò poche settimane fa a chiederne l’estromissione dalla Lega. La sfida per la segreteria sarà tutt’altro che scontata, anche perché c’è da scommettere che quel che rimarrà del cerchio magico farebbe di tutto per non vedere Maroni sulla poltrona più alta di Via Bellerio. Anche appoggiare l’ex “nemico” interno del Veneto.

 

 

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