Cina, rallenta crescita. Pil cresce dell’8,1% nel primo trimestre

E alla fine, il contraccolpo della bassa crescita globale si è avuto anche sul gigante asiatico, che ha poche ore ha comunicato gli ultimi dati sulla sua espansione economica. Nel primo trimestre dell’anno, il pil cinese è cresciuto dell’8,1% su base annua, mentre rispetto al trimestre precedente la crescita è stata dell’1,8%. Le attese erano mediamente per una crescita dell’8,3% e, pertanto, vi è stata una certa delusione tra gli analisti, anche perché si tratta del tasso di crescita più basso degli ultimi 3 anni.

Già ieri, tuttavia, si era registrato un certo pessimismo con riguardo alle prospettive di crescita della Cina nel 2012. Secondo la Banca Mondiale, quest’anno il pil cinese crescerà dell’8,2% contro una precedente previsione dell’8,4% e si tratterebbe del tasso di espansione più basso degli ultimi tredici anni.

Ad ogni modo, la delusione sui mercati finanziari non c’è stata, con le borse asiatiche che hanno chiuso in rialzo, anche perché oltre al dato non esaltante del pil sono stati divulgati anche altri numeri, che confermano la potenza del Dragone. Nel mese di marzo, la produzione industriale è salita dell’11,9%, maggiore della previsione di un +11,6% stimato dagli analisti. Crescita maggiore del previsto anche per le vendite al dettaglio del mese di marzo, che sono salite su base annua del 15,2%, contro un +15,1% atteso. Dunque, la crescita complessiva del primo trimestre è in rallentamento, ma a marzo vi potrebbe essere stato un rinvigorimento della produzione e delle vendite, che sono segnali importanti per stimare la crescita futura.

Tuttavia, la Banca Mondiale prevede un rallentamento complessivo, che dovrebbe consolidarsi nel corso del 2012, per via delle difficoltà nella crescita globale, che si ripercuotono negativamente sulla domanda estera, cioè sulle esportazioni cinesi. Altro fattore di debolezza sarebbe poi il rallentamento degli investimenti e la crescita meno marcata dei consumi interni. Per via di questi dati, secondo l’organismo internazionale, l’inflazione cinese sarebbe destinata quest’anno a scendere al 3,2%.

In effetti, il problema dell’economia asiatica è la debolezza delle due aree di maggiore interesse per lo sbocco delle sue merci, vale a dire gli USA e, soprattutto, l’Europa.

La bassa crescita in entrambe le aree, più marcatamente nell’Eurozona, frena le esportazioni cinesi verso il resto del mondo e non è un caso che tale previsione abbia portato il Partito Comunista, che ancora guida le sorti di questo immenso Paese da 1,35 miliardi di persone a valutare il modo in cui spostare le determinanti della crescita dalle esportazioni ai consumi interni.

Tuttavia, l’operazione non è affatto semplice, anche perché il Paese è ancora alle prese con il tentativo di domare l’inflazione, che nel mese di luglio del 2011 ha raggiunto il suo apice al 6,5% e che pur in rallentamento, ha rialzato leggermente la testa nel mese di marzo, attestandosi al 3,6% su base annua.

Per questo, Pechino ha dovuto mettere in campo una politica di restrizione monetaria dall’ottobre 2010, con conseguenti aumenti dei tassi repo e depo, anche al fine di contenere il credito fino ad allora molto generoso e abbondante per il settore immobiliare.

Solo negli ultimi mesi, la politica monetaria ha interrotto il rialzo dei tassi, allentando i coefficienti di riserva obbligatoria per le banche, in modo da sostenere i consumi e gli investimenti interni, pur senza volere mettere a repentaglio il ritorno alla stabilità dei prezzi.

Ieri, alla lettura dei dati sul pil, si sono registrati diversi movimenti valutari, che sono andati tutti nel senso di acquistare dollari americani, vendendo valuta di altri stati, come i dollari australiani o lo stesso euro. Gli analisti più avveduti, però, rimarcano come tali movimenti non siano giustificati, anche perché sulla base dell’esperienza può accadere che il ricordo negativo di tali cifre possa durare lo spazio di un paio di ore o di una giornata al massimo.

Resta il fatto, comunque, che l’economia del gigante asiatico cresce abbondantemente, per quanto si prevede che il ritmo scenda di alcuni decimali, rispetto agli ultimi anni. Certo, la preoccupazione di Pechino sarebbe di scendere sotto l’8%, che viene avvertita quale soglia critica, al di sotto della quale si potrebbero avere ripercussioni negative sul mercato del lavoro.

Per contro, non possiamo non prendere atto che la politica economica cinese avrebbe a disposizione diverse cartucce per sollevare le sorti della crescita di breve termine. Anzitutto, se dovesse proseguire il trend calante dell’inflazione, interrotto a marzo, ci sarebbe spazio per manovrare i tassi al ribasso e per ridurre ulteriormente il coefficiente di riserva obbligatoria, ancora piuttosto alto. Questo avrebbe un effetto di stimolo dei consumi interni, fatto con cui il governo dovrà confrontarsi nei prossimi anni, se non vorrà continuare a dipendere dall’export.

In questo quadro, tuttavia, si allontana la prospettiva di una rivalutazione dello yuan, che l’Occidente chiede a gran voce, quale presupposto di una politica commerciale “fair”, ossia corretta ed equilibrata. Forse la crisi europea potrebbe indurre il Dragone ad anticipare i tempi per l’adozione di una politica di crescita più responsabile e improntata a un maggiore equilibrio di medio-lungo termine. Nel futuro della Cina, ci saranno inevitabilmente minore avanzo commerciale e più consumi interni.

 

 

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