Grecia, boom voti per neonazisti e stalinisti. Socialisti umiliati

Ci si attendeva un terremoto politico in Grecia, lo stato dell’Eurozona più umiliato dalla crisi finanziaria, che ha spazzato via Atene come nulla fosse. Ma nessuno forse avrebbe previsto un tracollo così imponente e devastante per la tenuta delle istituzioni da parte dei partiti tradizionali. Ieri, infatti, mentre si guardava con attenzione all’addio a Nicolas Sarkozy, anche gli elettori greci erano chiamati a rinnovare il loro Parlamento, con un anno e mezzo di anticipo sulla scadenza naturale. E il risultato è andato oltre le previsioni. Quando è stato scrutinato il 99% circa delle schede, i conservatori di Nuova Democrazia, guidati da Antonis Samaras, vincono le elezioni con il 18,9% dei consensi e 108 seggi. Al secondo posto, contrariamente alle attese, arriva Syriza, l’alleanza di sinistra, che scalza i socialisti del Pasok dall’essere il principale partito di opposizione, cosa mai avvenuta dopo la caduta del regime dei Colonnelli. La formazione progressista, che in Italia sarebbe la nostra Sinistra e Libertà, avrebbe così 49 seggi, quadruplicando i consensi ottenuti nell’ottobre del 2009.

Syriza ottiene, infatti, almeno il 16,7% dei voti, mentre i socialisti non vanno oltre il 13,3% e 41 seggi. Ma il terremoto non si ferma qui. In Parlamento entrano pure i comunisti del KKE, una formazione di stampo stalinista, che ottiene ben l’8,5%, mentre alle loro spalle ci sono i neonazisti di Alba Dorata, che prendono uno strabiliante 7% e 21 seggi.

Alla fine, quindi, le formazioni pro-UE, ossia Nuova Democrazia + Pasok, non avrebbero nemmeno la maggioranza per formare un governo di grande coalizione solido, ottenendo solo 149 su 300 seggi, 2 in meno della maggioranza assoluta. Ma fa scalpore l’ingresso di partiti ferreamente contrari all’Unione Europea, che preannunciano la morte dell’Europa, così come la stiamo conoscendo da anni, matrigna e poco materna.

Le parole del leader di Alba Dorata sono l’antipasto di quello che vedremo nei prossimi mesi. Nikos Michaloliakos ha affermato che il suo partito si batterà contro il Memorandum, portando la lotta dentro e fuori il Parlamento. Questo, mentre ieri sera, durante lo spoglio, alcuni suoi militanti hanno cercato di raggiungere alcune sedi della sinistra, rischiando uno scontro tra opposte fazioni.

Samaras rivendica la vittoria, ma è evidente che si tratti di pura formalità. Solo due anni e mezzo fa, i conservatori ottenevano il 34% circa dei consensi, perdendo contro i socialisti, che presero intorno al 44%. Oggi, messi insieme, i due partiti hanno il 32% circa dei consensi, meno di un terzo, contro quasi l’80% del 2009.

Adesso, la questione è drammaticamente inquietante. Quale governo si costituirà? Samaras è stato ricevuto in mattinata dal presidente Carolos Papoulias, il quale gli ha assegnato l’incarico di formare il nuovo governo. Avrà a disposizione solo tre giorni per mettere in piedi una coalizione di maggioranza, altrimenti la palla dovrà passare al leader di Syriza, Alexis Tsipras.

E con questi numeri, la situazione rischia di essere molto più caotica del previsto. E’ vero che per effetto del premio di maggioranza, Nuova Democrazia gode di un buon numero di seggi, ma per formare un esecutivo stabile, i due partiti avranno bisogno almeno di una terza formazione e nessuno pare tentato dall’idea di dare il proprio assenso al governo del Memorandum, con il rischio di dissipare tutto il consenso ottenuto ieri.

Per questo, non si esclude la possibilità di arrivare presto, magari in autunno, a nuove elezioni, come già si vociferava in campagna elettorale. Ma lo escludono per ora i leader dei due partiti tradizionali, i quali temono di essere spazzati via totalmente al prossimo giro, a vantaggio delle altre formazioni estreme.

Sta di fatto che l’Unione Europea ha compiuto un capolavoro raccapricciante. Ha portato un Paese stabile sull’orlo di una crisi istituzionale perenne e senza sbocco, che ricorda drammaticamente l’ingloriosa Repubblica di Weimar, quelle che dal 1919 al 1933 resse le sorti della Germania. Sappiamo che fine fece.

Syriza, dal canto suo, punta a raccogliere il testimone dell’ultra-trafitto Pasok, sostenendo di essere contraria al Memorandum, ma di non volere che la Grecia esca dall’Area Euro. In ogni caso, il responso delle urne è chiarissimo: la UE viene sconfitta, insieme alla Germania, stato-guida che non riesce a creare un consenso minimo attorno alla sua politica, giusta o sbagliata che sia.

C’è un vento anti-europeista che soffia forte in tutta Europa e che rischia di travolgere l’euro a soli dieci anni dalla sua nascita.

L’effetto dirompente di queste elezioni e di quanto accaduto in Francia sarà uno solo a livello europeo: la Germania è isolata e il suo cancelliere non ha più la solidità delle alleanze e di consenso politico di cui pure ha goduto fino a ieri. Rischia di essere considerata la responsabile della crisi politico-economica che predomina a tutte le latitudini della UE, anche se con accenti molto più roboanti nelle sponde del Mediterraneo.

Sarà ancora più difficile ora controllare la bancarotta in corso da mesi ad Atene e non è un caso che la borsa ellenica stia cedendo già quasi l’8%, a conferma della sensazione che il Paese è piombato nel caos.

 

 

 

 

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