USA 2012, sale gradimento Romney. Aumenta raccolta fondi

Tra cinque mesi e mezzo, esattamente il Super-Tuesday del 6 novembre, si terranno le elezioni presidenziali americane, che potrebbero ribaltare il risultato di nemmeno quattro anni fa. Se già con l’uscita di scena di Nicolas Sarkozy in Francia abbiamo imparato a comprendere che il secondo mandato non è scontato sempre e comunque, stavolta potrebbe toccare a Barack Obama fare le valigie prima del previsto, come toccò nel 1992 a George Bush senior, clamorosamente sconfitto da un giovane e sconosciuto Bill Clinton. Come sempre o quasi capita, quando un candidato vince in un momento difficile, per via di un apparente sua capacità salvifica della Nazione, anche Obama ha dovuto fare i conti da almeno un paio di anni con un brusco calo di popolarità, oltre che con una disillusione crescente tra il suo stesso elettorato. Fino a un mese e mezzo fa, tuttavia, il primo presidente afro-americano nella storia degli USA poteva contare su un vantaggio non indifferente: non c’era un reale concreto a sfidarlo, perché la lotta tra i repubblicani si era prolungata ben oltre il previsto.

E così, ancora nel mese di marzo, Obama poteva raccogliere 53 milioni di dollari di donazione per la sua campagna elettorale, mentre Mitt Romney, ex governatore del Massachussetts, in corsa per la nomination del Partito Repubblicano, contava solo 12,6 milioni. Una distanza siderale, negativa per lo sfidante, sia perché le elezioni si vincono con una camionata di dollari, sia anche perché scarse donazioni sono il sintomo di una scarsa fiducia tra gli elettori.

Ma agli inizi di aprile, dopo il weekend di Pasqua, il più temibile rivale interno di Romney, l’italo-americano e ultra-conservatore Rick Santorum abbandona la gara, per problemi di salute della figlia. Da allora, il corso della campagna elettorale di Romney cambia radicalmente. Resta ancora in gara solo l’ex speaker alla Camera, Newt Gingrich, dopo l’addio alla corsa anche del libertario texano Ron Paul. Non essendoci alcuna speranza per Gingrich di recuperare grandi elettori e ottenere la nomination, la sua permanenza in gara si è trasformata per Romney nel vantaggio di potere girare stato per stato, per fare un giro pre-elettorale, in vista del 6 novembre. E i dati sulle donazioni, oltre che i sondaggi sul suo gradimento, indicano che la svolta c’è stata e tutta a suo favore. Nel solo mese di aprile, Romney ha ottenuto 40,1 milioni di dollari di donazioni, contro i 43,6 milioni raccolti nel mese da Obama.

Dunque, tra i due si è quasi annullato il divario nella raccolta fondi per la campagna presidenziale, indice che gli elettori repubblicani ci credono.

Un altro dato interessante ce lo fornisce Gallup. Mitt Romney avrebbe oggi un indice di gradimento del 50%, contro il 39% di un mese prima. Obama continua a vantare un gradimento del 52%, ma la differenza anche in questo caso è quasi annullata.

Ed è la stessa Gallup a sentenziare il vantaggio dell’ex governatore nei consensi: Romney otterrebbe oggi il 46%, contro il 43% di Obama. Qualche giorno prima era stato Rasmussen a dare speranza a Romney, assegnandogli il 50% contro il 43% del presidente in carica.

Pare che la volata di Romney sia avvenuta in coincidenza con l’outing di Obama, che si è espresso favorevolmente alle nozze gay. La svolta avrebbe impattato negativamente sugli elettori centristi o indipendenti, che vedrebbero ora in Romney un candidato loro più ideale.

Certo, la sfida non è finita. Anzi, non è nemmeno iniziata. Qualche giorno fa, l’ex presidente George W.Bush ha dato il suo endorsement a Romney. Un fatto scontato, certo, ma che potrebbe anche portare al candidato repubblicano qualche voto in più nel Texas, stato dove vive Bush.

Tuttavia, non sembra che il GOP abbia intenzione di pubblicizzare molto il sostegno di W.Bush a Romney, visto che l’ex presidente è associato a fatti negativi anche per lo stesso elettorato repubblicano, come la guerra in Iraq o il fallimento di Lehman Brothers.

E Romney punta a concentrare la sua battaglia proprio sull’economia, tema su cui gli elettori sembrano preferirlo all’uscente, quanto deludente, Barack Obama.

Al contrario, il presidente ha ingaggiato una battaglia mediatica per sconfessare la credibilità del suo avversario sull’economia, in particolare, sull’occupazione, con spot che mirano a dipingere il rivale quale persona incapace di creare posti di lavoro e che ha licenziato parecchio, durante la sua pur brillante carriera di uomo d’affari.

Quanto agli outsider, che negli USA hanno in qualche occasione fatto svanire i sogni di gloria di uno dei due candidati principali, non pare che possano scendere in campo tra gli indipendenti personaggi di spicco, come il sindaco di New York, Michael Bloomberg. Resta lo spettro dell’ecologista Nalph Rader, i cui voti nel 2000 impedirono al democratico Al Gore di battere George W.Bush, mentre non sembrerebbe probabile la discesa in campo del riformista Ross Perrot.

C’è da scommettere che la sfida potrebbe essere vinta sul filo di lana, con stati cruciali a determinare la vittoria dell’uno o l’altro candidato, come la Florida e l’Ohio.

 

 

Impostazioni privacy