Les Misérables: sacrificio, speranza e amore nel musical ispirato a Hugo

Non servono molti aggettivi per descrivere Les Misérables, ne basta uno. Immenso. Soltanto una parola, che forse da sola non riesce nemmeno a dare l’esatta caratura di questa imponente trasposizione cinematografica del musical di maggior successo della storia. Visto da 60 milioni di persone, ha trionfato sui palcoscenici prestigiosi di mezzo mondo. E 27 anni dopo la sua prima rappresentazione in un teatro londinese del West End, l’8 ottobre del 1985, il musical ispirato al grande capolavoro di Victor Hugo, scritto e musicato da Alain Boublil e Claude Michel Schönberg, arriva al cinema diretto da Tom Hooper, regista Premio Oscar di Il discorso del re.

Sogni infanti, amori non corrisposti, sacrifici, ingiustizie. Ma anche speranza, redenzione, e riscatto. Sono sentimenti contrapposti che accomunano i “miserabili” di Hugo, persone cadute in disgrazia, ex galeotti, prostitute, monelli di strada, studenti poveri. Tutta gente umile ma di gran cuore che vive ai margini della società, schiacciata dal peso della vita, ma che non ha smesso mai di credere a un domani migliore. Siamo nella Francia post Restaurazione, una nazione che ha visto traditi gli ideali per cui il popolo fiero si è battuto in una storica rivoluzione.

In questa umanità vittima dell’ingiustizia, lacerata e affamata si muove il reietto Jean Valjean (Hugh Jackman) in cerca di riscatto dopo 19 anni trascorsi ingiustamente ai lavori forzati. Convertito al bene dall’atto caritatevole di Monsignor Myriel, Valjean tenta di ricostruirsi un’identità da uomo giusto e compassionevole adottando Cosette, la figlia orfana della sfortunata Fantine (Anne Hathaway), dopo averla liberata dalle angherie dei truffaldini coniugi Thénardier (Sacha Baron-Cohen e Helena Bonham-Carter). Perseguitato dallo spietato ispettore Javert (Russell Crowe), il destino di Valjean finirà per intrecciarsi ai moti rivoluzionari del 1932 e alla vita del giovane nobile idealista Marius (Eddie Redmayne) di cui si innamorerà l’ormai adulta Cosette (Amanda Seyfried). Mentre la rivolta divampa tra le strade di Parigi, le sorti di tutti questi miserabili si compieranno nel bene o nel male. Come il romanzo di Hugo, anche il kolossal di Tom Hooper alterna diversi registri narrativi, dal melodramma, alla storia, dalla tragedia sociale alla commedia farsesca (nel numero «Master of the House» con gli eccentrici coniugi Thénardier). La regia lavora molto coi primi piani, penalizzando forse un po’ troppo l’impatto visivo delle maestose scenografie e dei costumi, che raggiunge l’apice solo nelle poche scene di massa sulle barricate parigine e nella grandiosa sequenza iniziale. Hooper mette da parte ogni virtuosismo, restando invece incollato ai suoi protagonisti, cogliendone la disperazione sui loro volti. Una scelta che in alcune sequenze consente al film di toccare picchi emotivi elevatissimi: in «I dreamed a dream», quando la madre coraggio Fantine si aggrappa invano ai sogni di gioventù per trovare conforto e salvezza dal tragico destino che l’attende; o la dolce Eponine (la bravissima Samantha Barks), straziante quando canta «On My Own» e poi «A Little Fall of Rain», morendo fra le braccia dell’amato Marius. Rispetto alla versione teatrale molti brani sono stati accorciati; l’ordine modificato, e c’è un numero nuovo espressamente scritto per la pellicola, lo struggente «Suddenly». Per Les Misérables Tom Hooper sceglie poi una via insolita per un musical cinematografico: rinuncia al playback. Qui, infatti, tutto è registrato in presa diretta; gli attori lasciati liberi di farsi trasportare dalle note musicali, a discapito di qualche stonatura. Con il risultato di una recitazione più “realista” e vibrante del solito, che mette in luce le straordinarie doti canore di tutto il cast a cui si deve gran parte delle otto candidature agli Oscar. Su tutti però ci sono le interpretazioni superbe di Hugh Jackman e Anne Hathaway, coraggiosamente trasformatasi nel fisico per dare il volto ad un’intensa Fantine, già premiata con un Golden Globe e in odore di Academy.

Il musical è senza mezze misure: o lo si ama o lo si odia. E 152 minuti pressoché ininterrotti di musica, senza neppure un intermezzo parlato, metterebbero alla prova anche il fan più sfegatato del genere. Ma Les Misérables si lascia vedere e ascoltare soprattutto, non con le orecchie ma col cuore perché solo così riesce davvero ad entrarti nell’anima, a coinvolgerti e ad emozionarti. Sin dall’incipit, tutto d’un fiato, fino all’apoteosi patriottica del finale con il travolgente «Do you hear the people sing», l’inno della rivolta tramutatosi in un monumentale canto di speranza per il futuro, che il sacrificio di tanti ha reso possibile.

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