L’ultima carta giocata da Berlusconi per evitare la decadenza dal mandato di senatore, a seguito della sentenza definitiva della Cassazione che lo condanna a quattro anni per frode fiscale, è stata quella di notificare ai 23 componenti della Giunta per le elezioni e le immunità del Senato il ricorso presentato alla Corte di Strasburgo per la violazione degli artt. 3-7-13 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo.
Un fascicolo di 33 pagine, denominato “Berlusconi contro l’Italia”.
Dal 9 settembre alle ore 15, infatti, la Giunta sarà chiamata a decidere sulla sua decadenza in applicazione della legge n.190 del 2012 (c.d. Legge Severino), che prevede l’incandidabilità per chi ha subito una condanna definitiva superiore ai due anni. I numeri sono gli stessi da settimane: nove componenti a favore del Cavaliere, 14 contro. I rinvii alla Consulta o alla Corte di Strasburgo sono da considerarsi altamente improbabili, eppure Berlusconi ci prova. Il perché è facilmente intuibile: in caso di decadenza dallo scranno di senatore, si troverebbe a rischio arresto nelle altre inchieste a suo carico.
L’intento è chiaro, guadagnare quanto più tempo possibile in attesa della Corte di Appello di Milano, che, come deciso dalla Cassazione, rideterminerà la durata dell’interdizione dai pubblici uffici per il Cavaliere a seguito della condanna.
Nel ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo si contesta la legge Severino e la retroattività. In sintesi, si sostiene che la retroattività di tale legge violerebbe l’art. 3 della Convenzione, che sancisce il diritto a libere elezioni, l’art. 7, che fissa il principio per cui nessuno può essere condannato per un’azione od omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituisca reato secondo il diritto interno o internazionale ed, infine, l’art. 13, in base al quale l’ordinamento italiano non prevede per Berlusconi alcun rimedio accessibile ed effettivo per ricorrere contro l’incompatibilità con la Convenzione Europea dei diritti umani della legge Severino.
Legge, tra l’altro, approvata con un ampio consenso dal Governo Monti e, quindi, anche dal Pdl e ad oggi ha trovato applicazione per ben 37 volte, ottenendo la decadenza di 37 consiglieri, 17 regionali e 20 tra provinciali e comunali. In tutte queste occasioni, nessun giurista e nessun politico ha mai sollevato dubbi sulla costituzionalità della legge. Al di là dei risvolti squisitamente giuridici della questione, rimane un dato politico incontrovertibile, cioè la sensazione che Berlusconi, con il ricorso contro l’Italia per ottenere l’inapplicabilità di una legge votata a stragrande maggioranza dal partito di cui è leader, abbia saltato lo squalo, un modo di dire mutuato dal mondo dello spettacolo, che un tempo indicava l’abbassamento qualitativo di una serie TV di successo e che oggi è utilizzato anche in un’accezione più ampia, per indicare tutte le situazioni di turning point in cui inizia il declino di un personaggio pubblico.