Ho fatto un sogno: Monster e InfoJobs erano due musei dove i genitori portavano i loro figli in visita: “vedi Marco, una volta il babbo ha provato a cercare lavoro grazie a questo antico strumento di tortura, in cui le aziende pubblicavano illeggibili offerte di lavoro e le Persone perdevano ore ed ore a cercare di capire come si potesse coniugare uno stipendio da 1000 euro con una preparazione da scienziato plurilingue salvatore del mondo per un posto da responsabile commerciale senza responsabilità”.
Poi ho avuto un incubo: “cercasi apprendista con esperienza”.
Ma, mentre il primo caso prima o poi si avvererà, la foto di cui sopra è invece tristemente reale.
Credo sia stata scattata in Centro a Bologna dove non più di un anno fa un altro negozio di scarpe aveva esposto un cartello con la scritta “si assumono solo Bolognesi”. Evidentemente la specialità della casa erano gli zoccoli in un letto di tagliatelle e solo un commesso tipico avrebbe potuto esaltarne forma, aspetto, posizionamento nel magico mondo della moda emiliana. Ma questa è una storia di cui parleremo altrove.
Gli “apprendisti con esperienza”, così come certi “responsabili commerciali senza responsabilità” nascondono in realtà una doppia chiave di lettura. La prima è quella del povero imprenditore straziato dalle tasse e dal costo del lavoro che sta comunicando il suo disagio con un messaggio del tipo: “ho bisogno di un commesso vero, ma posso pagarlo come uno stagista. Se potete darmi una mano, qualche volta vi porto pure a pranzo fuori e se resistete fino a Natale, magari ci scappa anche un pensierino”.
La seconda interpretazione, che a naso mi sento di attribuire ad una maggioranza ben più vasta di datori di lavoro mette invece in risalto, gravemente, l’ignoranza becera che c’è alla base di alcuni “padroni” che, in barba a qualsiasi legge o anche solo al buon senso imprenditoriale, pensa sia più vantaggiosa una strategia a brevissimo termine, anzichè formare, seguire, far crescere le proprie risorse. Chiamarli imprenditori non sarebbe rispettoso: è dai tempi di KuntaKinte che tramandano di padre in figlio una personale politica per le pari opportunità fra schiavi senza orario nè diritti. Mica vogliamo con un sostantivo mandare a monte secoli di dottrine e certosini processi di abbrutimento degli individui?
Purtroppo questo “stile manageriale” è solo la punta più ingenua ed evidente di un iceberg che ha nella sua base spesso delle vere e proprie carenze di comunicazione se non solo di appeal, a discapito dei candidati (salvo poi lamentarsi che nessuno risponde agli annunci).
Ecco alcuni suggerimenti per arginare possibili problemi con imprenditori di fascia “b”.
Quando si risponde ad un annuncio sarebbe buona prassi andare a visitare il sito dell’azienda. Anche in funzione di un possibile successivo colloquio di selezione (giocate d’anticipo e d’ottimismo!). Se l’azienda non ha sito, o peggio ha un sito poco curato, poco aggiornato e che non trasmette professionalità, non è escluso che anche il suo management sia della stessa stoffa. Ma siccome possono esserci mille motivi per cui un sito non riscuota il giusto peso in azienda, sarà sempre utile fare una ricerca attraverso il sito delle Entrate o della Camera di Commercio per verificare se l’Azienda ha una partita iva attiva, se è indagata per truffa o se semplicemente non dà il giusto peso alla comunicazione on line.
Agenzie interinali, società di selezione e simili sono tenute a specificare tipologia di lavoro, sede, inquadramento e retribuzione prevista. Per un vizio tutto italiano queste ultime due informazioni vengono puntualmente inevase. Chiedere la retribuzione al primo colloquio o al primo contatto non è buona norma (chissà poi perchè, visto che 9 volte su dieci ti rispondono che non hai superato il colloquio perchè costi molto. Sapendolo prima, si risparmiava tempo in due), ma chiedere l’inquadramento previsto permette di bypassare elegantemente la domanda e farsi due calcoli di massima. Anche per capire se chi vi sta selezionando abbia la più pallida idea di cosa stia cercando.
Diffidate da soggetti che con la scusa dell’opportunità di lavoro vi propongono corsi e training a pagamento. La formazione la paga l’azienda, non il candidato.
Usate i social networks. Verificate il profilo di chi vi ha cercato su Linkedin, visitate la pagina Facebook e osservate cosa pensano i clienti di quell’azienda, individuate subito punti di forza e di debolezza. Fatevi un’idea personale.
Rifiutare un lavoro, spesso è meno grave che non averlo e comporterà nel tempo meno problemi psicologici, economici e morali.
Questo non servirebbe se i datori di lavoro sapessero trasmettere la propria azienda su un canale emozionale, anzichè su aridi e sorpassati portali di annunci.
Ecco invece qualcuno che ha saputo come attirare le risorse giuste e comunicarlo in maniera innovativa e virale. Certo, l’azienda si chiama Heineken, ma cosa vieta oggi al datore di lavoro di una media azienda trovare un modo “social” per valorizzare le proprie risorse interne e trasmettere quanto sia appassionante lavorare nella sua azienda?
Con tutti gli strumenti disponibili e semi gratuiti di cui disponiamo e soprattutto in un momento di grande attenzione al mondo del lavoro (da parte di tutti tranne che del Governo), com’è possibile che siano così rari gli imprenditori che investono sull’employer branding o anche solo sull’immagine?
Guardate quanto è emozionale questo video creato per un negozio a marchio Coop di Firenze, con la partecipazione dei dipendenti. Stiamo parlando ancora di una grande azienda, certo, ma a differenza di budget e a parità di creatività, contatti, relazioni, non può esserci un modo diverso di coinvolgere e assumere nuove Persone?
Pertanto: affermato recruiter con esperienza decennale e perfettamente bilingue, non ancora completamente avvilito dagli sterili incontri con i direttori del personale e psicologicamente equlibrato al punto tale da non aver ancora assalito alla gola nessuna avvenente signorina addetta alle selezioni, cerca Imprenditore capace di scommettere sulle Persone, che non parli per luoghi comuni, che abbia una minima conoscenza del valore della comunicazione e del social recruiting, che non perda tempo ad andare alle riunioni di confindustria (si mangia bene anche al baretto di fronte, anzi, forse meglio) e investa quel tempo a capire cosa pensano e a cosa aspirano i suoi dipendenti, che abbia previsto per l’anno in corso almeno due interventi di formazione e che non confonda la Ral con il cap.
Se esisti, palesati. Ti assumo io.