Il 18 settembre trenta attivisti di Greenpeace sono stati arrestati dalle autorità russe dopo aver tentato di salire sulla piattaforma petrolifera di Gazprom. Scopo dell’azione era quello di dimostrare la pericolosità delle trivellazioni, soprattutto in un ecosistema delicato come quello dell’Artico. La risposta delle autorità russe non ha tardato ad arrivare. Gli attivisti sono stati tutti arrestati e saranno processati con l’accusa di pirateria. In Russia la pena massima prevista per tale reato è di quindici anni di carcere.
Greenpeace, da parte sua, ha lanciato una mobilitazione mondiale per chiedere il rilascio dei suoi attivisti e denunciare sia il pericolo che rappresentano appunto le trivellazioni, sia per denunciare la violenza delle autorità russe. L’associazione sostiene inoltre che gli attivisti sono stati arrestati senza che venisse loro fornita la possibilità di un’assistenza legale.
I combustibili fossili che queste trivellazioni vogliono reperire e sfruttare, com’è ormai dimostrato dalla comunità scientifica, sono tra i maggiori responsabili del surriscaldamento globale e continuare a voler reperire risorse in quella zona e con quei sistemi arrecherebbe ulteriori danni, irreversibili, al già delicato e fragile ecosistema artico. Oltre allo scioglimento dei ghiacciai. Senza considerare che eventuali fuoriuscite di combustibili sono attualmente impossibili da ripulire.