Playboy, la costruzione di un impero che festeggia 60 anni

Nel lontano Dicembre del 1953 usciva per la prima volta a 50 centesimi di dollaro il primo numero di Playboy. In copertina c’era un nome che è rimasto scolpito nella storia: Marilyn Monroe.
Oggi per festeggiare i 60 anni della rivista è stata scelta Kate Moss a rappresentanza di decenni di lavoro del patron fondatore Hugh Hefner.

Oggi sappiamo che da quella semplice rivista si è sviluppata una società quotata in borsa la Playboy Enterprises il cui titolo è conosciuto con al sigla PLA, che si occupa dell’intrattenimento del pubblico adulto attraverso quasi tutti i tipi di media.
A differenza dell’opinione comune, i contenuti della rivista non sono limitati al nudo, ma spaziano tra l’intrattenimento, basti pensare che già nel primo numero vi erano articoli sul jazz, sul Decameron e brani di Sherlock Holmes e il design.

Playboy ha avuto una grande importanza nello sdoganamento della sessualità, fu infatti la prima rivista esplicitamente dedicata alla fotografia erotica, ed ebbe un ruolo non irrilevante nel movimento per la rivoluzione sessuale.
L’impresa è rimasta a conduzione familiare vedendo la primogenita del fondatore Christie Hefner come CEO di Playboy, ruolo che ha ricoperto fino al 2009 e sostituita da Jimmi Jellinek che sta proprio adesso promuovendo il sessantesimo dell’uscita del giornale e della musa scelta.

Quando l’allora 27enne Hugh pubblicò il primo numero non indicò la data di uscita, dubitava della possibilità di pubblicazione di un secondo numero. Invece come sappiamo la sua determinazione nel voler fare la differenza e poter creare un cambiamento ha prevalso. Sicuramente la teatralizzazione della sua casa e vita domestica che ne sono seguite hanno fatto parte di azioni di marketing, ma il suo lavoro ha creato un precedente.

Playboy, che da più di 50 anni fa parlare di sé e che ancora oggi resta la rivista maschile più letta del mondo, è stato il risultato di un giovane che mentre lavorava come copywriter si è accorto che esisteva una nicchia di mercato ancora inesplorata: quella degli uomini di un target medio-alto, che avevano il desiderio di liberarsi dell’educazione puritana ricevuta e la voglia di vivere la vita in maniera più libera.

ll primo numero vendette in pochi giorni 50 mila copie: i proventi bastavano a coprire i costi di carta e stampa e a finanziare un secondo numero, che uscì però con un nome diverso da quello che sarebbe diventato il brand a noi tutti noto, cioè Stag Party. Il successo raggiunto fu clamoroso: nel giro di 5 anni Playboy raggiunse vendite per un milione di copie al mese. Vent’anni dopo, nel ’72, si raggiunse il record di vendita di 7 milioni di copie.

Hugh Hefner è stato geniale perché ha costruito un perfetto magazine maschile, curatissimo nella fotografia e grafica e nella presenza di articoli impegnati.
Un impero in piena regola, che nel 1971 fu quotato in Borsa.
Nei vari anni si sono susseguiti l’acquisto di un canale televisivo pornografico (Playboy Tv), i siti Internet, il reality show ambientato nella Mansion, la produzione di videogiochi e di merchandising di abbigliamento (jeans, costumi e lingerie) e oggettistica, dagli orologi ai bicchieri, ma anche bijoux e compilation musicali. Si è cercato di far sì che il marchio non fosse solo collegato alle immagini erotiche.

Oggi l’impero di Hefner è ben lontano dal capolinea: gli abbonati al giornale, seppur diminuiti rispetto al passato, sono quasi 3 milioni e il merchandising, distribuito in 2500 negozi Usa e commercializzato in 100 Paesi, consente un fatturato di 600 milioni di dollari.

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