Il Milan in ritiro a Milanello: storia di una pratica tutta italiana

Il Milan in ritiro punitivo, questo è l’argomento in prima pagina sui principali quotidiani sportivi. Le sconfitte con il Caen e quella con la Primavera di Inzaghi, unite agli scarsi risultati raccolti fin ora, hanno costretto il tecnico Max Allegri a portare la squadra a Milanello, in ritiro, già da questa sera.

L’A.d della società rossonera, Adriano Galliani ha dichiarato: “Non é un ritiro punitivo. Certamente abbiamo detto ai giocatori, allenatori, che il Milan non può essere soddisfatto del dodicesimo posto in classifica. Serve essere concentrati e rimanere assieme, serve pensare e il ritiro ci sembra la soluzione migliore, senza scopi punitivi. E’ una decisione dell’allenatore, condivisa dalla società e nessun giocatore ha eccepito nulla. A partire da domani sera anche i non convocati resteranno qui a dormire, poi da venerdì sera invece resteranno solo i convocati.”

Nonostante lo scalpore che ha creato questa notizia non è di certo la prima volta che viene fatto in casa rossonera. Senza andare troppo lontano nel tempo, l’anno scorso dopo la sconfitta per 3 a 2 con la Lazio la squadra partì immediatamente per il ritiro. Carlo Ancelotti, nell’anno della vittoria della Champions League, decise di portarci i suoi per preparare al meglio la gara di ritorno con l’Ajax e distrarre i giocatori dalle voci di mercato. Il vero specialista però fu Fabio Capello, che ne fece uso svariate volte soprattutto nella stagione del suo fallimentare ritorno al Milan nel 1997/98.

Quello del Milan è solo l’ultimo caso, ma la storia calcistica è piena di squadre che dopo prestazioni non esaltanti vengono portate in ritiro, lontano da mogli, fidanzate e locali vari per recuperare concentrazione e fare gruppo.

Il vero esperto fu Luciano Gaucci che era solito spedire i suoi giocatori in alberghi a 2 stelle senza televisioni ne telefoni. Serse Cosmi una volta provò a protestare ma la replica di Gaucci fu: “io pago, io decido. E poi su 50 volte che ho mandato la squadra in ritiro, ho vinto 48 volte e pareggiato 2”. Come dargli torto…

Alla Lazio, per esempio, il ritiro di Norcia dell’anno scorso prima della finale di Coppa Italia contro la Roma portò fortuna. I biancocelesti si imposero per 1 a 0. La decisione fu tutta di Lotito che andò contro i pareri di giocatori e tecnici.

Questa pratica molto diffusa in Italia pare essere snobbata negli altri paesi, dove in genere la pressione mediatica e dei tifosi è minore e viene lasciato il tempo ai calciatori di lavorare, senza che il campo d’allenamento venga preso di mira da contestazioni (a volte anche meritate) che minacciano la serenità dell’ambiente.

Tornando un pò indietro nel tempo, ovvero al mondiale di Germania nel 1974 scopriamo che nel ritiro argentino (non ritiro punitivo ma il quartier generale dove alloggiava la nazionale albiceleste), definito come una vera e propria prigione, due giocatori (Ayala e Telch) si resero protagonisti di due gesti di tentata violenza sessuale ai danni di una cameriera e di una giornalista. Per questo motivo il ritiro dell’Olanda che stupì il mondo in quel Mondiale era aperto completamente alle mogli. Per evitare, secondo le pressioni di Cruyff e compagni, che l’eventuale divieto diventasse una lama a doppio taglio.

Quando si parla di ritiri l’opinione di tecnici e calciatori è sempre divisa. C’è chi dice che sono inutili, chi invece li ritiene necessari. Di sicuro bisognerebbe trovare una via di mezzo, va bene il ritiro punitivo, ma senza esagerare come Gaucci o l’Argentina nel 1974. E’ un provvedimento che serve per trovare serenità, capire le cause degli scarsi risultati e compattare il gruppo. I giocatori invece non possono lamentarsi. In genere le location scelte sono alberghi con tutte le comodità possibili, a partire dal wi-fi fino ad arrivare alle Play Station con cui sono soliti intrattenersi. Solo se il Presidente si chiama Luciano Gaucci le cose cambiano…

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