Kyle Thompson, angeli senza volto e castelli incantati nei suoi scatti

Sono Kyle Thompson e scatto fotografie”. Inizia così una delle poche interviste che il giovane fotografo di Chigago ha rilasciato. E immediatamente capiamo che Kyle e la fotografia sono una cosa sola, quasi il suo “scattare fotografie” fosse il cognome che sempre si porta appresso e mai dimenticherà di pronunciare. Già, perché Kyle non è fotografo, lui scatta solamente e lo fa più per se stesso che per impressionare un pubblico.

Troppo timido e introverso per condividere la passione che si stava plasmando tra le sue mani. Troppa poca la stima in se stesso per credere che si trattasse di vero talento. Un po’ insofferente come tutti i ragazzi ventenni di oggi che non hanno certezze per il futuro e hanno paura di inseguire i propri sogni. Due anni fa prende in mano la sua Canon 60 D e punta l’obbiettivo sul suo volto. ”Sono una frana a dialogare con la gente”, dice. Così inizia a trascorrere ore, a volte giorni interi da solo nei boschi (“È rigenerante” assicura), alla ricerca di vecchie case abbandonate per ricreare la realtà a metà tra il fiabesco e il surreale che ritroviamo in ogni suo scatto.

Esprimersi attraverso l’arte è un’esperienza talmente personale e introspettiva che lui stesso preferisce non chiedere che altre persone si mettano di fronte al suo obbiettivo. “Sarebbe troppo strano”, ammette, pensare che le sue visioni oniriche vengano spiegate da qualcun altro. “Mi rivolgo a modelli quando voglio dare vita a una raffigurazione basata su una storia precisa”.

Non aver mai studiato fotografia gli ha permesso di esprimere liberamente la sua creatività senza sentirsi costretto in canoni visivi e concettuali. “Non si può insegnare la creatività”, ripete, convinto che la lettura di alcuni libri per l’apprendimento delle basi tecniche fosse sufficiente se unito all’ascolto dei propri impulsi interpretativi. Vivere in una macchina conferma il suo sentirsi libero da ogni convenzione e gli ha permesso di cercare punti di vista sempre nuovi da trasformare in suggestive creazioni mentali.

Sono spesso i sobborghi di Chicago a fare da sfondo alle sue poetiche composizioni di palloncini rossi, pozzanghere in cui immergersi fino a scomparire, velieri in miniatura, libri sospesi nel vuoto senza capire se stiano cadendo a terra o siano in balia di una forza centrifuga, specchi e stoffe bianche posate sul dorso di un uomo con il volto velato come fossero ali di un angelo.

La realtà si mescola al sogno per liberarsi dall’involucro razionale delle convenzioni e trovare se stessi. Intime fantasie e ricordi ancestrali emergono in un chiaroscuro di colori sbiaditi che delineano delicatamente i contorni di corpi spesso senza volto. “Amo il mistero. Amo l’idea di semplificare le forme umane e focalizzarmi solamente sui dettagli. Amo l’ambiguità di tutto questo; non si sa a chi sono attaccate quelle braccia”, precisa Kyle che riesce così a raccontare una storia senza creare un personaggio distinguibile ma di volta in volta identificabile con chiunque lo osservi e si senta pronto a relazionarsi con quei particolari.

Photo Credits: http://www.kylethompsonphotography.com/

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