Femminicidio e violenza sulle donne, domani una giornata di sensibilizzazione

Il 25 novembre è la giornata internazionale decisa dall’Onu nel 1999 per l’eliminazione della violenza contro le donne. Invitando tutti i Governi e le ONG ad attivarsi per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’annoso problema. La data fu scelta in ricordo del barbaro assassinio nel 1960 delle tre sorelle Mirabal, considerate esempio di donne rivoluzionarie per l’impegno con cui tentarono di contrastare il regime di Rafael Leónidas Trujillo, il dittatore che tenne la Repubblica Dominicana nell’arretratezza e nel caos per oltre 30 anni.

In Italia la ricorrenza si celebra solo dal 2005 anche se negli ultimi anni l’attenzione al fenomeno del femminicidio ha fatto sì che anche l’attenzione ad esso dedicato fosse in continuo aumento. In tutto il Paese sono stati organizzati diversi eventi e preparate innumerevoli campagne per chiedere maggiori interventi per arginare il fenomeno della violenza di genere. Anche con il patrocinio politico.

Stando a quanto riportato da un rapporto dell’Eures, da gennaio in Italia sono stati commessi 81 femminicidi e Linda Laura Sabbadini, direttrice del dipartimento per le statistiche sociali e ambientali dell’Istat e membro della commissione ONU che ha definito le linee guida a livello mondiale delle indagini statistiche sulla violenza contro le donne, in una intervista all’Huffington Post dichiara che il numero rimane fondamentalmente stabile. Ma non per questo si può abbassare la guardia. Perché i femminicidi sono solo la punta di un’iceberg di un fenomeno molto più ampio come quello della violenza di genere. Che non sempre arriva all’uccisione della donne ma sempre procura danni gravissimi a livello fisico e psicologico.

Il fatto che il problema non abbia subito un aumento nei numeri non è rassicurante. L’emergenza permanente infatti pone l’accento sul carattere strutturale della questione. Cosa che rende ancora più difficile pensare ad interventi che arginino il problema. E che non si risolve limitandosi a contare le vittime. Anche una sola donna uccisa per mano di un uomo, proprio in quanto donna, sarebbe altrettanto grave.

Le misure di punizione previste dal recente decreto contro il femminicidio, poi convertito in legge, sono necessari (anche se migliorabili) ma non bastano. Bisogna intervenire subito sul fronte dell’educazione. Bisogna insegnare fin da subito alle bambine che loro hanno un valore intrinseco che non dipende dagli sguardi degli uomini o dai giudizi degli altri. Bisogna insegnare loro a riconoscere la violenza e che non devono accettarla in nessuna forma da parte di nessuno. E ai bambini bisogna spiegare che gli altri non sono mai esseri inferiori, ma che sono persone autonome e hanno il diritto di decidere liberamente della propria vita. Anche quando appartengono al genere femminile. “Hai tante cose dentro di te, e la più nobile di tutte il senso della felicità. Ma non aspettarti la vita da un uomo. È per questo che molte donne si ingannano. Aspettala da te stessa”, scriveva Camus in un bel romanzo dal titolo La morte felice.

E come “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”, per citare Calvino, se non “attraverso la cultura e la forza della ragion critica. Quel pensiero critico che, come ci hanno insegnato tra gli altri Adorno e Arendt, permette di fare a pezzi i pregiudizi, gli errori, i compromessi, le scuse, l’oscurantismo, i ritardi, le ingiurie, la banalità… in una parola, la violenza.”? Scrive Michela Marzano nel suo blog.

E se si considera il carattere performativo delle parole, cioè il fatto che le parole siano “cose”, che agiscono, bisognerebbe anche smetterla di definire i femminicidi raptus o segno di una patologia psichiatrica. I dati dimostrano come non si arrivi a uccidere una donna all’improvviso, ma vi sia una continua escalation di episodi violenti da parte di uomini incapaci di accettare l’idea di perdere una parte del potere che credono di avere solo perché appartenenti al genere maschile e come gli autori di questi crimini siano spesso lucidissimo nel compiere il gesto.

La violenza di genere non riguarda solo le donne. E accanto alla storica “questione femminile” ce n’è un’altra altrettanto urgente da affrontare, ovvero “la questione maschile”, come sostiene anche Giuseppe Civati. C’è bisogno (anche) di altri uomini.

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