Le ricette pop di Andy Warhol

Mania del cake design, un dolce diverso per una cena speciale? Se si ha voglia di unire al gusto anche l’estro artistico, ci si può rivolgere ad Andy Warhol.
Non solo goloso, ma sempre attratto dalle cose belle, si cimentò anche nei disegni di dolci, gelati e gelatine.

Andy Warhol, l’icona dell’arte pop, adorava stare ai fornelli: il suo aspetto magro e sottile non tradiva un’insospettabile predilezione per i dolci, in ogni loro forma. Cupcakes, meringhe, torte alla panna ripiene ai frutti di bosco: Warhol è stato un goloso cake-designer, ben prima che questa diventasse una professione.

Questa passione trovò una svolta letteraria, quando nel 1959 Suzie Frankfurt, una famosa arredatrice e decoratrice di interni, fu molto colpita in una mostra a Manhattan dagli stravaganti acquerelli raffiguranti fiori e farfalle di un giovane artista: il suo nome era Andy Warhol, che in quel momento lavorava come art director per la casa editrice Doubleday e realizzava illustrazioni di libri per bambini, prima di diventare uno dei più celebri rappresentanti della cosiddetta Pop Art.
I due diventarono subito amici e qualche mese dopo il loro primo incontro decisero di collaborare per realizzare un libro di ricette sullo stile dei sofisticati libri di cucina francese degli anni Cinquanta, molto famosi all’epoca.

Pubblicarono così Wild Raspberries, (ovvero lamponi selvatici ma anche, in slang, pernacchia) un volumetto illustrato in edizione limitata (soltanto 34 esemplari, tutti colorati a mano). È una sorta di parodia dei libri di cucina allora in voga: le illustrazioni sono di Warhol, mentre i testi, elaborati da Frankfurt, furono scritti a mano dalla madre di Warhol, che copia a mano le ricette su ogni pagina, ma anche quattro ragazzini, suoi vicini di casa, che con pazienza colorano tutti i disegni. Un esempio di quella che poi sarà la filosofia della Factory: un modello di produzione quasi industriale, in cui l’artista, come uno chef, suggerisce gli ingredienti migliori ai propri collaboratori.

Questo ricettario affianca ricette d’impeccabili torte farcite ai mirtilli a divertissement come l’omelette à la Greta Garbo, «da consumarsi rigorosamente a lume di candela». I dissacranti disegni dell’artista, che amava inventarsi torte alte due piani dagli improbabili colori fluo, sono accompagnati da ricette di origine mitteleuropea scritte con la consulenza di mamma Warhol, al secolo Jùlia Justina Zavacká, un’immigrata slovacca che considerava la cucina una vera e serissima arte, a differenza della pittura.

Arrivato da Pittsburgh nella Grande Mela nel 1949 insieme ad alcuni compagni di studi, Warhol si creò subito un’immagine professionale stravagante: lo chiamavano “lo straccione” per le scarpe bucate e schizzate di pittura, le camicie sdrucite e l’abitudine di indossare sempre un paio di pantaloni beige. Era un look bohémien artefatto, che unito ai suoi modi timidi e alla voce sussurrata intenerì gli art director delle maggiori riviste: Vogue, Harper’s Bazar, Glamour, McCall’s, il magazine del New York Times nel giro di quattro anni erano già tutti suoi clienti, e lo stile di Warhol (la tecnica della “blotted line”, i temi-feticcio delle scarpe, i cherubini, le farfalle, i cuori e i fiori) si impose sull’estetica del tempo.

Anche quando cominciò a guadagnare bene e a potersi permettere abiti e scarpe costose Warhol deturpava il suo guardaroba con strappi e inchiostri, lasciando addirittura che la miriade di gatti che vivevano con lui vi urinasse sopra.

Un’altra abitudine dei primi tempi a New York che non abbandonò fino agli anni ’80, quando si fece più salutista, era quella di cibarsi quasi unicamente di dolci. Anche se non ancora famoso e ricco, Warhol frequentava le più lussuose pasticcerie della città (la Palm Court dell’Hotel Plaza, Café Nicholson, Serendipty), dove si sedeva e ordinava una torta da compleanno, capace di mangiarsela tutta da solo e di portarsi a casa pure un vassoio di paste.

Warhol possedeva delle copie ottocentesche dei più celebri manuali di cucina francese: Le pâtissier pittoresque di Antonin Carême, detto “il Palladio della cucina”, e La cuisine classique di Urbain Dubois, chef dei reali russi e prussiani; entrambi i volumi erano corredati da illustrazioni di dolci ad alto impatto scenografico che devono aver influenzato l’immaginario dell’artista americano, famigerato per la sua capacità di intuire il potenziale delle idee altrui e a catalizzarle nella sua opera, più che famoso per la capacità di creare qualcosa di totalmente inedito.
Ciononostante, con la loro elegante leggerezza nello schema dei colori e dei decori, i dolci vagheggiati da Andy Warhol rimangono a distanza di 60 anni un simbolo assoluto di bellezza.

«Non dimenticherò mai quel primo incontro. Andy mi ha accolto come se ci conoscessimo da anni. Ricordo fosse particolarmente affascinato dal fatto che fossi cresciuta a Malibù, accanto all’attrice Myrna Loy. Amava anche che collezionassi gioielli antichi. Ho subito sentito che saremmo diventati ottimi amici. È così che tutto è cominciato». Le parole di Suzie raccontano perfettamente il clima di armonia fra i due che, quasi per gioco, hanno poi progettato il divertente “lamponi selvatici”, ricco di disegni e strambe ricette di cucina.
In tutto sono state realizzate trentaquattro esemplari. I librai newyorkesi, tuttavia, non ne hanno mai ordinato neanche una copia, costringendo i due autori a regalarli agli amici per le feste di natale. Il volumetto è stato successivamente pubblicato nel 1997, quando il figlio di Frankfurt, dopo la scomparsa della madre, ne trova per caso uno. In Italia, Wild raspberries è conservato alla Biblioteca nazionale di Firenze.

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