Microcredito: una via per un mondo più giusto

Intorno alla metà degli anni ’70, il Bangladesh fu colpito da una grave carestia, conseguenza di una violenta inondazione, di quelle che ciclicamente colpiscono il Paese, che causò la morte di centinaia di migliaia di persone. Fu in quell’occasione che Muhammad Yunus, un economista e banchiere bengalese che, dopo un dottorato di ricerca negli USA, tornò in Bangladesh. Girando nei sperduti villaggi, si rese conto di quanto le teorie economiche studiate all’università fossero lontane dalla situazione reale che vivono milioni di persone. Arrivò così alla conclusione che il sistema creditizio delle banche non fosse adeguato per risolvere il problema della povertà.

Ritenendo che “L’elargizione di denaro non costituisce una soluzione, né a breve né a lungo termine. Il mendicante passerà a un’altra auto, e poi a un’altra ancora, affidandosi per sopravvivere a un meccanismo senza via d’uscita. […] La carità può avere effetti devastanti. Chi raccoglie denaro mendicando non è motivato a migliorarsi; […] mendicare priva l’uomo della sua dignità […] lo rende passivo e incline a una mentalità parassitaria.”, come scrive nel suo libro Il banchiere dei poveri, mise a punto quello che si definisce microcredito, ovvero il prestito di una modesta quantità di denaro, concessa senza chiedere garanzie ma sulla fiducia, per l’avvio di attività economiche attraverso cui sostentarsi.

Nacque così la Grameen Bank, fondata nel 1976 proprio da Muhammad Yunus in Bangladesh. La Grameen Back fu la prima banca ad operare nel campo della micro finanza, dalla cui esperienza presero esempio altri istituti poi ribattezzati con il nome di “banche dei poveri”. I principi su cui si basa questo tipo di attività posso essere identificati in alcuni punti essenziali: non è chi ha bisogno del prestito che si reca dall’ente per richiederlo ma sono i funzionari che girano i villaggi per reperire possibili clienti, di solito i prestiti vengono concessi a piccoli gruppi di persone moralmente impegnati ad aiutarsi vicendevolmente in caso di necessità, nel giro per i villaggi è compito dell’impiegato anche riscuotere le rate dei pagamenti la cui restituzione è settimanale per permettere alla banca di intervenire tempestivamente, ad esempio attraverso dilazioni, se i contraenti hanno difficoltà.

I risultati più che positivi ottenuti da queste banche, con un miglioramento notevole delle condizioni di vita delle persone quindi un conseguente abbassamento dei livelli di povertà nonché un tasso di restituzione del prestito pari al 99%, hanno portato anche le Nazioni Unite a dichiarare il 2005 l’Anno Internazionale del Microcredito, con la richiesta che tutti gli Stati membri costituissero un comitato nazionale dedicato alla diffusione e alla promozione del microcredito, espressamente considerato come uno strumento utile alla lotta della povertà estrema ed al raggiungimento di quello indicato come il primo obiettivo del Millennio. Anche la Banca Mondiale decise di attuare progetti i questo senso, e non solo nei Paesi in via di sviluppo. Progetti destinati a quelli che vengono definiti nuovi poveri.

In Italia fu costituito, in risposta alle risoluzioni dell’Onu, il “Comitato Nazionale Italiano per il 2005 – Anno Internazionale del Microcredito” poi diventato “Comitato Nazionale Italiano Permanente per il Microcredito”. All’ente, è stato accordato sia l’Alto Patronato Permanente del Presidente della Repubblica, che quello dell’allora Presidente dell’Assemblea Generale dell’ONU, Ambasciatrice Sheikha Haya Rashed Al Khalifa.

Esempi di attività avviate con il microcredito in Italia le troviamo in Abruzzo e in Emilia post terremoto, ma anche nei prestiti chiesti da donne che vogliono avviare attività produttive in proprio anche (e soprattutto) per non essere discriminata e raggiungere una propria autonomia e avere anche la capacità di autodeterminarsi senza dipendere da altri.

Un altro modello di sviluppo, più giusto ed equo, è possibile.

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