Anche senza porcellum, siamo un Paese di illegittimi

Siamo tutti illegittimi.

Non è l’ultimo slogan grillino post-porcellum, ma una riflessione che nasce spontanea dopo la decisione della Consulta del 4 dicembre scorso. La sentenza della Corte Costituzionale ha messo fine ad una legge che era evidentemente anti-costituzionale già appena concepita, ma che per ben otto anni e per tre votazioni consecutive ha attribuito cariche politiche, sottraendo in realtà agli elettori la libera scelta dei propri eletti.

Con il porcellum sembra che si vada verso la fine un intero ceto politico, quello che per diverse legislature ha discusso invano di riforme elettorali e costituzionali, senza mai dare risposte ad un Paese in evidente affanno, che nel frattempo è rimasto indietro a livello europeo e che ora sconta un’inettitudine generalizzata.

Ma a ben guardare, illegittimo non è solo questo parlamento o i precedenti, il Presidente della Repubblica o addirittura la stessa Consulta che di questa illegittimità ha deciso, perché, come ha sottolineato Travaglio nel suo intervento durante Servizio Pubblico, la Corte Costituzionale è per un terzo nominata dallo stesso Parlamento. A ben guardare, si diceva, l’Italia è un Paese di illegittimi, etimologicamente inteso come un Paese “che non ha le condizioni volute dalla legge”.

È illegittimo infatti, quel Paese che non riesce a garantire neanche il più basilare diritto su cui la nazione stessa è fondata: il lavoro. Con una disoccupazione giovanile a livelli catastrofici, nonostante una specializzazione sempre crescente. In un situazione in cui l’unico vero ammortizzatore sociale, per chi ha la fortuna di averla, è la famiglia, mentre la politica continua a cercare consensi proponendo inutili quanto irrealizzabili forme di sostegno come il reddito minimo garantito.

È illegittimo un Paese che risulta ancora tra gli ultimi per il livello di trasparenza in ambito internazionale, con una corruzione nelle PA ancora altissima e che nulla ha imparato dalla storia, da tangentopoli e dalla fine della Prima Repubblica. E allora l’unico modo per cercare di ripulire l’immagine dei partiti rimane quella di proporre volti nuovi, possibilmente giovani, che cancellino alla svelta il ricordo di quel “magna magna generale” che è emerso dalle indagini dei magistrati.

E a proposito di magistrati, sembra che possa dirsi illegittimo anche quel Paese in cui un pm può ancora essere minacciato dal carcere, attraverso le parole intimidatorie di un mafioso. Perché se le mafie hanno ancora spazio in questa nazione il motivo sembra essere nascosto in quel vincolo di interessi e di accordi che proprio l’inchiesta sui legami tra Stato e mafia sta cercando di chiarire. Inchiesta nata solo dopo che la mafia aveva messo in ginocchio interi territori, devastando l’ambiente come nella Terra dei Fuochi.

Ma soprattutto è illegittimo quel Paese in cui anche quando le leggi ci sono non vengono fatte rispettare, specie se l’intreccio di poteri e interessi è talmente intricato da non permettere di dire di no all’industriale di turno, neanche quando a rimetterci sono i cittadini con la loro salute. E sembra proprio che, dato che l’Italia è un Paese di illegittimi, non ci possa indignare davanti alla telefonata compiacente di un politico, neppure in una città come Taranto, distrutta dall’Ilva, ma che, ironia della sorte, illegittima ci è nata, dato che la fondarono i parteni, figli illegittimi della madrepatria Sparta.

Insomma la colpa di questa drammatica situazione politica non è necessario farla ricadere sulla Consulta, o sul Presidente della Repubblica, come da più parti si sta invocando. La verità è che siamo un Paese di illegittimi. La speranza per il futuro, quella rimasta sul fondo del vaso, forse, però, la testimoniano ancora i quasi tre milioni che hanno espresso il loro voto ieri, augurandosi che qualcosa possa davvero cambiare.

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