(Anche) nella Silicon Valley sono sessisti

Alla locuzione Silicon Valley il primo termine associato è: tecnologia.
Nel 1972 lo scrittore Don Hoeffler coniava il nome per via della forte presenza di silicio in questa valle a sud di San Francisco, silicio che divenne pietra miliare della costruzione di microchip.
Un po’ il petrolio dell’industria tech.

Alla Silicon Valley è però spesso associato anche un secondo termine: meritocrazia.
La leggenda vuole che in seguito a un “eureka” un uomo possa fondare la sua propria azienda e cominciare a fatturare milioni di dollari. Non sarebbe quindi necessario avere un patrimonio familiare consistente o essere bianco, nero, giallo o arancione, perchè chiunque verrebbe giudicato solo in base a ciò che sa fare. Peccato che recentemente alcune statistiche sembrino opporsi a questo mito.

La maggior parte dei CEO della regione condividono, infatti, alcuni attributi fondamentali: l’essere bianchi e uomini.
Lo stesso venture capitalist John Doerr ha recentemente affermato che i suoi più riusciti investimenti sono stati realizzati da uomini bianchi sotto i trent’anni, nerd con nessuna vita sociale, appena usciti da Harvard o Standford. E mentre da un lato è riconosciuto come la diversità razziale non sia un problema (più del 50% delle aziende sono state fondate da non americani e alta è la presenza di indiani), il mistero su che fine abbiano fatto le donne persiste.

A volte si tratta di direttori operativi (Sheryl Sandberg, Facebook) altre di vicepresidenti (Susan D. Wojcicki, Google) ma solo il 5% delle aziende operanti nella Valley sono state, di fatto, fondate da donne.

Il problema potrebbe essere in parte dovuto, secondo una teoria complottista, alla mitizzazione dell’uomo imprenditore, o forse avrebbe radici in un diverso imprinting dato a bambini e bambine fin dalla nascita. In un’intervista al New Yorker Randi Zuckerberg, sorella del più famoso Mark, dichiarò “Quando eravamo piccoli a lui regalavano i videogame, a me le bambole”, come a dire: non è questione di istinto, ma anche di educazione (cara Randi, anche la Monaca di Monza si lamentava delle bambole col velo che le regalavano da piccola!).

Cosa dire poi del mito del self-made man? A lungo si è pensato alla California come al luogo in cui un uomo, dal nulla, può costruirsi un raggiante futuro, non a caso tra i libri più letti negli Usa si annoverano ancora quelli di Horatio Alger, che sul finire dell’ottocento scriveva di giovani squattrinati che con coraggio e dedizione raggiungevano il sogno americano: la ricchezza.

Il problema è che oltre ad avere una buona idea, bisogna anche ottenere i finanziamenti adeguati. Finanzamenti che provengono dalle tasche delle “persone giuste” (i cosiddetti “business angels”). Conoscere gente e frequentare eventi diventa perciò di centrale importanza. Secondo il giornale Wired, affinchè si possa ottenere un finanziamento è necessario partecipare a molte iniziative, viaggiare per conferenze e trovare tempo e denaro per lavorare e implementare i propri progetti personali. Ergo: così squattrinati in partenza non si può essere se si vuole arrivare ad ottenere dei fondi.

Quale sia la verità non è chiaro, ma il fatto che l’inventore di Facebook sia un trentenne, bianco ed ex studente di Harvard non vi fa sorgere alcun sospetto?

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