Samia: dalle olimpiadi alla morte nel barcone per Lampedusa

La storia di Samia Yusuf Omar, la giovanissima atleta del 1991 di Mogadiscio che ha perso la vita nella traversata della speranza verso Lampedusa, ha cominciato a essere conosciuta, lasciando tracce grazie anche a Abdi Bile, medaglia d’oro nei 1500 metri ai Mondiali di Roma del 1987, che in occasione del trionfo dell’atleta Mo Farah, ha ricordato Samia a Mogadiscio in un evento con i membri del Comitato olimpico nazionale.

Samia, delicata come una farfalla, ma forte abbastanza da affrontare le delusioni e le umiliazioni della vita, da combattere i pregiudizi del suo mondo, pronta ad aprire le sue ali per spiccare il volo, che il destino ha voluto spezzare, infrangendo così il suo sogno nel mare profondo e crudele, che gli ha rubato la vita, ma che era anche simbolo di speranza di una nuova vita.

Samia era concentrata su se stessa e sul suo futuro, fatto di speranze e di promesse. A 17 anni partecipa alle Olimpiadi di Pechino 2008, dopo una selezione nel suo paese e la partecipazione nei 100 metri ai Campionati africani di atletica leggera.
Tutti si chiedevano come fosse possibile che una ragazzina magra come me, potesse vincere. Il fatto era che vincevo e basta. Ero più veloce degli altri. Almeno, di quelli che mi era capitato di incontrare. Con i mesi, ho capito che la mia specialità erano i duecento metri“.

La gara olimpionica era quella dei 200 metri e Samia con il suo aspetto esile e le scarpette regalatele dalla squadra di atletica sudanese, si presenta per gareggiare. Arriva ultima nella batteria, ma il pubblico presente la applaude e la incoraggia. Era il 19 agosto e fu uno dei momenti più famosi di quei Giochi Olimpici. “Non mi importa se vinco. Ma sono felice di rappresentare il mio paese in questo grande evento. Non credo che faccia la differenza se vinco a questi o ai prossimi Giochi Olimpici. Sono felice perché le persone mi hanno incoraggiato con il tifo, è stato molto bello. Ma mi sarebbe piaciuto essere applaudita per aver vinto, e non perché avevo bisogno di incoraggiamento. Farò del mio meglio per non essere ultima, la prossima volta“.

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La Somalia è insanguinata dalla repressione e dal terrorismo e il suo ottimismo viene lacerato da avvenimenti tragici della sua vita, come la perdita del suo più caro amico, la morte del padre, ucciso da un colpo di pistola al mercato di Bakara dove lavorava, e la partenza della sorella per l’Europa, ma tutto ciò non riesce ad intaccare la sua voglia di raggiungere la felicità tanto desiderata. Samia non è un’atleta professionista, ma ha la determinazione dei campioni. Vuole giungere in Europa e trovare un allenatore per partecipare alle Olimpiadi di Londra, questo il suo unico pensiero e desiderio.

Dopo Pechino, torna a Mogadiscio, ma nessuna radio o televisione parla di lei. Riceve minacce dal gruppo islamista al Shabaab e comincia a nascondere e a negare pubblicamente il fatto di essere un’atleta, poichè una donna-atleta non era ben vista. Doveva correre con le maniche lunghe, i pantaloni della tuta e una sciarpa sulla testa. Ha dovuto subire intimidazioni ed una volta fu arrestata e minacciata di morte se non avesse smesso di fare sport. «Tradizionalmente i somali considerano “rovinate” le ragazze che praticano sport, musica, che indossano abiti trasparenti o pantaloncini. Quindi sono stata messa sotto pressione», spiegò in un’intervista alla BBC.

Il viaggio della salvezza che porta Samia e i migranti per i deserti da Addis Abeba verso il Sudan e la Libia, per arrivare al mare è in condizioni assurde, 72 ore nel cassone di un furgone, senza poter portare bagagli. La giornalista di Al Jazeera Teresa Krug che era in contatto con lei scrisse: «Dopo il suo arrivo in Libia parlammo di rado. La sostenni per quanto mi fu possibile, ma lei non si faceva sentire spesso. Nell’ultimo messaggio che mi mandò diceva che era stata in prigione, che era stata molto male ma che adesso si sentiva meglio. Questo accadde all’inizio del 2012». Da quel momento in poi, di lei non si ebbero più notizie.

Lo scrittore Giuseppe Catozzella ha deciso di dedicare un libro alla storia di Samia, “Non dirmi che hai paura”, pubblicato l’8 gennaio da Feltrinelli. Nel libro sono espressi la semplicità dei pensieri di una fanciulla, da adolescente a giovane donna, il suo grande amore per lo sport e la forza di volontà di Samia nel voler cambiare il corso del suo destino per rincorrere la sua passione a tutti i costi. Catozzella si è affidato alla testimonianza della sorella di Samia, che ha chiesto asilo in Finlandia. Stando ad alcune ricostruzioni Samia Yusuf Omar è annegata il 2 aprile al largo di Lampedusa, nel tentativo di raggiungere le coste italiane.

Domenica 19 gennaio a Roma, si terrà la quindicesima edizione della manifestazione organizzata dal giornalista della Gazzetta dello Sport, Valerio Piccioni, la “Corsa di Miguel“. Accanto alla corsa podistica di 10 chilometri, si correrà la versione non competitiva da 4 chilometri, “dal ponte per Samia“, che sarà dedicata per il secondo anno consecutivo a Samia, e si concluderà nello stadio Pietro Mennea. Gli atleti parteciperanno indossando una maglietta con la scritta “strantirazzismo“: uno slogan per sottolineare la voglia di urlare il proprio odio a qualsiasi forma di discriminazione, nello sport e fuori.

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