Saviano si pente: “Non dovevo scrivere Gomorra”

«Se potessi tornare indietro, non scriverei Gomorra. O almeno, non scriverei con la stessa forza e determinazione». È la clamorosa confessione fatta da Roberto Saviano nel corso di un’intervista rilasciata a “El Paìs” e ripresa dal “Mattino”, a dieci anni dalla pubblicazione del libro che ha reso famoso lo scrittore napoletano.

«Me he arruinado la vida. Non credo sia nobile aver distrutto la mia vita e quella delle persone che mi circondano per cercare la verità. Avrei potuto fare lo stesso, con lo stesso impegno, con lo stesso coraggio ma con prudenza, senza distruggere tutto. Invece sono stato impetuoso, ambizioso» dice Saviano. Un’esistenza, la sua, tutt’altro che semplice tra continui cambi di residenza, spostamenti rigorosamente tenuti segreti e tanta solitudine, lontano dagli affetti e dalle legittime aspirazioni di un uomo di 34 anni.

No, non è valsa la pena, spiega lo scrittore con straziante sincerità. «Qualcuno può pensare che sono un codardo, ma bisogna considerare che non posso disporre della mia vita senza chiedere autorizzazione, né uscire o entrare quando voglio, né frequentare le persone che voglio senza doverle nascondere nel timore di rappresaglie. A volte mi domando se finirò in un ospedale psichiatrico».

Gomorra come la porta dell’inferno. Dalla sua uscita in libreria ha costretto l’autore ad abbandonare ogni speranza di poter condurre un’esistenza normale. La camorra gli ha prima lanciato dei segnali di avvertimento: telefonate mute, lettere minatorie. Poi, quando ha capito che non si sarebbe fermato e che avrebbe continuato a metterne a repentaglio gli affari, lo ha condannato a morte. «Già adesso ho bisogno di psicofarmaci per tirare avanti e non era mai accaduto prima. Non ne faccio abuso, ma a volte ne ho necessità. E questa cosa non mi piace per nulla. Per questo spero che prima o poi finisca».

Lo scrittore non è nuovo in realtà a simili esternazioni. Già nel 2009, in un articolo scritto per “The Times”, aveva ammesso: «Odio Gomorra, la detesto con tutto il cuore», definendo il libro «un’eterna spina nel fianco» responsabile di averlo condannato a una «vita di merda». Le due milioni e 250 mila copie vendute in Italia, le oltre dieci milioni di copie vendute in tutto il mondo, i 52 Paesi in cui l’opera è stata tradotta, i prestigiosi riconoscimenti letterari e il successo delle trasposizioni cinematografiche rappresentano dunque una ben magra consolazione per un uomo che ha perso la propria libertà.

Quello che emerge dalle parole di Saviano è il ritratto di un eroe che, schiacciato dal peso della propria missione, mette a nudo tutta la propria umana fragilità. «Il mio dramma interiore è: avrei potuto aver fatto tutto questo ma senza mettere a rischio tutto. Perché, qual è il problema? Se tu anteponi un obiettivo, la verità, la denuncia, a qualunque altra cosa della tua vita, diventi un mostro. Un mostro. Perché tutte le tue relazioni umane e professionali sono orientate a ottenere la verità. Forse alla fine sarà nobile, una cosa generosa. Tuttavia la tua vita non si converte in generosa, le relazioni diventano terribili».

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