Geografia delle proteste: il mondo è in rivoluzione

Sono prevalentemente di carattere politico ed economico le motivazioni che, nell’arco degli ultimi anni, stanno portando molti paesi del mondo ad insorgere contro i propri governi.
Questi eventi si sono allargati, investendo ogni angolo terrestre, dall’Europa Orientale fino all’America Meridionale. Che siano sintomi di una crisi mondiale o di un errato atteggiamento politico generalizzato, questi movimenti di protesta ci sono e molti stanno lentamente sfociando in vere e proprie guerriglie urbane.

È questo il caso del popolo bosniaco che ha deciso di insorgere contro un governo sempre più corrotto e incompetente per manifestare il dissenso nei confronti di un processo di privatizzazione che sta piegando l’economia del paese.
Tutto ha avuto inizio a Tuzla dove, da un anno, gli operai dismessi delle grande industrie bosniache hanno iniziato una protesta a cadenza settimanale di fronte al palazzo del governo cantonale. Lo scorso 5 febbraio i manifestanti hanno optato per una presa di posizione drastica e hanno fatto irruzione nella sede istituzionale arrivando allo scontro diretto con le forze armate. A questi si sono rapidamente affiancati giovani disoccupati, membri delle organizzazioni dei veterani e tutti coloro che si sentono emarginati dal sistema politico clientelare. La gente ha così assediato i centri di potere, rivendicando l’introduzione degli ammortizzatori sociali, la riduzione delle paghe nel governo cantonale e un’indagine che faccia luce sulle privatizzazioni illecite. La stessa notte la protesta è degenerata, arrivando allo scontro con la polizia e in pochi giorni si è diffusa nelle altre città del Paese, assumendo un carattere nazionale. Ai cortei pacifici, si sono alternati scontri e arresti e a Tuzla, Sarajevo e Zenica i manifestanti più facinorosi hanno dato fuoco alle sedi dei governi cantonali.
La protesta, comunque, non è rimasta inascoltata poiché nel giro di una settimana cinque premier cantonali su dieci si sono dimessi e i manifestanti hanno ottenuto anche un appoggio ideologico da parte della Federazione croato-musulmana (che ha, però, condannato violenze e atti di vandalismo).

Rimanendo sempre nell’Europa Orientale, in Ucraina, a Kiev, è in atto un’altra grande rivolta del popolo ucraino che, come dieci anni fa nella Rivoluzione Arancione, sta insorgendo a causa della sempre più stretta vicinanza del governo ucraino a quello russo. Questo rapporto ha, infatti, fortemente influenzato l’Ucraina durante il Summit del Partenariato orientale dell’Unione Europea (tenutosi a Vilnius lo scorso fine novembre), in cui Viktor Yanukovyč, presidente dell’Ucraina, ha dato prova di questo sua politica ambivalente rinunciando a firmare l’Accordo di associazione con l’Ue, in favore appunto della Russia, che vorrebbe l’Ucraina come partner beneficiario di un rapporto privilegiato. A dicembre infatti Yanukovyč ha sottoscritto un patto con Putin, secondo cui il proprio paese potrà importare gas russo con un notevole taglio di costi, mentre il Cremlino si è impegnato ad investire un’ingente somma di denaro in titoli di Stato ucraini. Gli scontri sono iniziati a novembre, a dicembre un gruppo di manifestanti ha abbattuto la statua di Lenin e da quel momento sono rapidamente degenerati e continuano ad oggi arrivando ai livelli di una vera e propria guerra civile.

Ma, appunto, non è solo l’Europa ad essere interessata da queste proteste che hanno toccato anche l’America meridionale, ad esempio, come nel caso del Venezuela il cui popolo sta anch’esso insorgendo contro il governo a causa di un crollo generalizzato in tutti i settori: scarseggiano alimenti basilari, medicine e generi di prima necessità. L’inflazione è aumentata notevolmente, come d’altronde la criminalità, l’apparato pubblico industriale è dissestato e quello privato è in via d’estinzione.

Altra importante rivoluzione che sta facendo particolare scalpore in questo periodo, proprio perché sta colpendo una manifestazione che dovrebbe essere simbolo di pace e avere un carattere più disteso e ricreativo, è quella in corso a Sochi, in Russia, in occasione dei Giochi Olimpici Invernali. Qui i manifestanti stanno denunciando la situazione delle minoranze omosessuali in Russia. «La modernità non è soltanto la tecnologia di questo bellissimo parco olimpico, ma anche l’apertura mentale in tema di diritti per la difesa delle minoranze sessuali». Con questa frase, fortemente ironica, Vladimir Luxuria, ex parlamentare italiana, volata a Sochi proprio per manifestare, intende criticare una legge particolare emanata dal governo russo a giugno del 2013 che vieta la “propaganda omosessuale”, formula volutamente ambigua con la quale si intende proibire qualunque tipo di atteggiamento, effusione o anche difesa omosessuale.

Dati alla mano, comunque, secondo uno studio dell’Initiative for Policy Dialogue, organizzazione non-profit con sede presso la Columbia University, sono 843 le proteste nel mondo degli ultimi 8 anni.
Aspetto interessante di questa ricerca è l’analisi del “manifestante medio”. Infatti, mentre prima a scendere in piazza erano solamente attivisti e sindacalisti, ora ad insorgere è la classe media, giovani ed anziani, disillusi dal sistema politico globale.

Geografia delle proteste: il mondo è in rivoluzione

[Credits foto: spiegel.de e irevolution.net]

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